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«Stanotte finisce il mese sacro, domani comincia la collera». L’unica ribellione permessa è quelle delle parole: «Benvenuti in Palestina». Spaventati dalle strade pericolose, i cristiani di Gaza costretti a seppellire i loro cari nei cimiteri musulmani
Inviato a Gerusalemme
Il fornaio che nella Città Vecchia impasta focacce al sesamo sotto lo sguardo dei soldati israeliani non presagisce niente di buono: «Stanotte finisce il digiuno, domani comincia la collera». Dall’inizio della guerra a Gaza l’esercito sbarra i vicoli ai giovani arabi diretti verso la Spianata delle Moschee. Nell’ultimo giorno di Ramadan l’unica ribellione permessa è quelle delle parole: «Benvenuti in Palestina», dice chi arriva dai quartieri occupati a Gerusalemme Est.
Sul far del tramonto si cominciano a imbandire le tavolate, pensando a chi invece resterà ancora con la pancia vuota, mentre l’esercito giordano ha lanciato pacchi di cibo, vestiti, dolci e giocattoli sulla Striscia in occasione dell’Eid al-Fitr, la festa che conclude il mese sacro musulmano. Anche il segretario alla Difesa degli Usa, Lloyd Austin, alludendo a una carestia di massa indotta dall’occupazione israeliana, ha messo in guardia perché la fame «aumenterà la violenza e avrà come effetto il prolungamento del conflitto». Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha fatto sapere che Israele ha autorizzato l’ingresso di 400 camion di aiuti, il numero più alto dall’inizio del conflitto. Prima della guerra, tuttavia, a Gaza entravano 500 Tir al giorno.
Dalla Striscia arrivano le immagini della continua devastazione. Uno sfollato ha diffuso il video di un camposanto islamico devastato dai cingolati israeliani. Non si sa più dove seppellire i morti. Tanto che i cristiani palestinesi stanno affidando i loro cari ai cimiteri musulmani. « Non ho mai visto un cristiano sepolto in una tomba musulmana, ma per colpa della guerra non abbiamo avuto altra scelta», ha raccontato il guardiano del cimitero di Tal al-Sultan, quasi al confine con l’Egitto. In tutta la Cisgiordania monta la rabbia per la sorte imposta ai palestinesi, e ieri nuovi blitz israeliani nei campi profughi hanno prodotto arresti e tensioni mitigate solo dall’attesa di un’altra “ora x”. Quella della vendetta di Teheran.
Il regime l’ha giurata dopo l’uccisione a Damasco di sette suoi alti ufficiali, attribuita a Israele.
«Non affrettiamo le nostre ritorsioni », fanno sapere fonti iraniane. Cautela, o forse un bluff in vista di un attacco a sorpresa, mentre l’esercito con la Stella di David alleggerisce la presenza a Gaza per tenersi pronto a intervenire sui confini. Specialmente a Nord, in direzione del Libano dove i razzi degli Hezbollah filo-iraniani da mesi tengono impegnata la contraerea israeliana. Il comandante della marina della Guardia rivoluzionaria iraniana ha sostenuto che Teheran è in grado di chiudere lo Stretto di Hormuz. Notizia che non allarma solo Israele: un quinto del volume mondiale di petrolio passa attraverso lo Stretto. Nel frattempo la Turchia ha annunciato sanzioni commerciali nei confronti dello Stato ebraico, con il blocco delle esportazioni di 54 prodotti. Israele risponde preparando una lista merci turche che non potranno più essere importate. Il premier israeliano Netanyahu tenta di guadagnare altro tempo e allontanare le pressioni di chi lo vorrebbe dimissionario. Le famiglie degli ostaggi, l’opposizione, i cortei, non si trova angolo di Israele dove il premier sia ben visto dalla maggioranza dei cittadini. La sua sopravvivenza politica è in ostaggio degli alleati dell’ultradestra. Gli chiedono di «finire il lavoro» a Gaza, invadendo Rafah, considerata l’ultima roccaforte di Hamas. Ma nella città sul confine che l’Egitto tiene sigillato, ci sono oltre un milione di sfollati interni. Lui rassicura gli alleati più aggressivi: « Abbiamo una data per l’operazione », dice. Washington prende di nuovo le distanze: «Gli Stati Uniti non hanno una data per una potenziale operazione militare israeliana a Rafah », ha dichiarato il segretario di Stato Blinken, confermando di lavorare a stretto contatto con il Qatar e l’Egitto su un accordo per il cessate il fuoco. Anche la Francia si è schierata con Egitto e Giordania per ottenere una tregua immediata.
I fondamentalisti per il momento dicono che l’offerta di Gerusalemme non soddisfa nessuna delle richieste. Tuttavia, fanno sapere fonti vicine alla leadership di Hamas, la proposta viene presa in esame. Abbastanza per tenere aperta una porta al negoziato e chiudere con l’ipotesi di una breve tregua di tre giorni già da domani. Delle 253 persone sequestrate il 7 ottobre, 133 ostaggi sono ancora prigionieri, ma nessuno sa quanti siano ancora vivi dopo sei mesi di scontri con armi pesanti.