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Il dolore della madre, il vescovo: «Sicurezza è aria»
Aldo Tani
MONTEPULCIANO (SIENA) «Non si può morire così». Chi esce dalla zona delimitata dal nastro bianco e rosso, non utilizza altra formula. Dietro quella soglia c’è il corpo di Manuel Cavanna, residente a Cortona (Arezzo), spazzato via a 23 anni mentre era impegnato in una riparazione su un rimorchio. Niente di nuovo per un ragazzo che con gli arnesi in mano ci sapeva fare.
Meccanico esperto, a discapito dell’età, che anche ieri pomeriggio era venuto in soccorso di un’azienda che fa lavorazioni con il ferro e box per cavalli. Una giornata di lavoro come tante altre. Magari il pensiero già volava all’imminente fine settimana. Alle gioie che dovrebbero caratterizzare la gioventù.
Manuel non faceva eccezione in questo, anche se chi è accorso sul luogo dell’incidente, in località Tre Berte, nel comune di Montepulciano, lo descrive come una persona seria e dedita al lavoro. A turno è tutto un ripetere «era un ragazzo veramente perbene». Difficile strappare una parola in più. Le attenzioni sono tutte per le mamma del giovane. Piegata su una sedia, piange a dirotto. Parenti e amici si avvicinano per farle forza, ma non c’è nulla di fare. La alzano, la abbracciano. Per un attimo sembra rispondere, ma si rimette sulla sedia. Vorrebbe capire cosa è successo al suo Manuel.
Sarà l’inchiesta della procura di Siena a chiarirlo. Sul posto arriva il capo Andrea Boni, accompagnato dal pm Elisa Vieri, appena arrivata nel distretto senese. Serve il suo via libera per restituire il corpo alla famiglia (la restituzione avverrà oggi), ma soprattutto è lì per comprendere la dinamica di questa ennesima tragedia. Dalla prime ricostruzioni sembrerebbe che il ragazzo sia morto a seguito di un trauma provocato da una barra di metallo che l’ha travolto. Soprattutto gli inquirenti dovranno stabilire perché la trave abbia ceduto e come era posizionata. Qualsiasi spiegazione arriverà in ogni caso non può lenire il dolore di tutti quelli che gli volevano bene. E che prima chi dopo continuano ad andare incontro alla madre. Tutti segnati dall’incredulità per l’accaduto.
Un mondo a parte rispetto a ciò che succede attorno a loro, dove ispettori del lavoro, forze dell’ordine e vigili del fuoco proseguono con i rilievi. Schierati attorno al rimorchio per cercare di ricostruire la dinamica del tragico incidente. I carabinieri, intanto, vanno e vengono, parlando con i dipendenti dell’azienda e con tutti coloro che possono avere informazioni utili. Di fronte a tutto ciò, la madre di Manuel ha un nuovo momento di cedimento. Viene trasportata in un auto posizionata nel piazzale. La fanno distendere e le portano un bicchiere d’acqua. Quando il procuratore Boni conclude la sua perlustrazione, inizia il rompete le righe. Il nastro bianco e rosso viene tolto e via via i mezzi presenti abbandonano la scenda dell’incidente. Anche il corpo di Manuel viene portato via. A quel punto pure parenti e amici si allontanano.
Cala un mesto sipario. Il 23enne nel giro di un anno è la quarta vittima nel Senese, (la decima in Toscana). Solo uno di loro superava i 50 anni. Ad alzarsi allora è il coro di voci di politici e istituzioni che chiede di fermare questa strage, sempre meno silenziosa. «La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi», sottolinea il cardinale Paolo Augusto Lojudice. «Perdere la vita sul luogo del lavoro è un fatto drammatico che non dovrebbe mai accadere e che chiama ciascuno di noi, per la propria parte, a fare di più», aggiunge Michele Angiolini, sindaco di Montepulciano. Parole che nessuno vorrebbe più sentire.
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