Intervista al premier polacco
Tusk
f L’Europa è come alla vigilia del secondo conflitto mondiale Dobbiamo prepararcigf Bisogna spendere il più possibile per armarci. I prossimi due anni sono decisivig
Il premier polacco Donald Tusk
VARSAVIA – La guerra in Europa, per la prima volta dal 1945, è un fatto «reale». Stiamo entrando in una fase «prebellica». Donald Tusk ne parla apertamente alla luce delle minacce sempre più fosche che arrivano da Mosca. E il premier polacco avverte che l’Europa non è ancora pronta per affrontare un conflitto, e che si deve invece preparare a quest’eventualità rafforzando la sua difesa, anche con gli Eurobond o i fondi Bei. A prescindere da chi si insedierà a novembre alla Casa Bianca. In quest’intervista con Repubblica e i giornali del consorzio Lena – la prima con la stampa internazionale da quando è stato rieletto – Tusk parla dei suoi rapporti con Giorgia Meloni, del futuro del Ppe, degli obiettivi del Triangolo di Weimar e spiega perché il Patto europeo per i migranti «non basta» e il conflitto tra agricoltori ucraini e polacchi obbliga a un ripensamento del libero scambio con Kiev. Che sul fronte militare, però, va aiutata fino in fondo: «Se perde, nessuno potrà più sentirsi al sicuro in Europa».
Politici, militari, esperti di tutta Europa affermano che entro pochi anni la Russia potrebbe attaccare i Paesi della Nato. La guerra è inevitabile?
«È una domanda che ci si pone ovunque… Non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato. È reale, è già iniziata più di due anni fa. La cosa più preoccupante è che ogni scenario è possibile. È la prima volta dal 1945 che ci troviamo in una situazione del genere. So che sembra devastante, soprattutto per i più giovani, ma dobbiamo abituarci mentalmente all’arrivo di una nuova era. È l’era prebellica. Non sto esagerando. Sta diventando ogni giorno più evidente».
L’Ucraina sta attraversando un periodo difficile. Cosa accadrebbe se perdesse la guerra?
«Abbandoniamo i “se”. Il nostro obiettivo principale deve essere quello di proteggere l’Ucraina dall’invasione russa e di tutelare la sua indipendenza e integrità. Il destino dell’Ucraina è soprattutto nelle nostre mani. Non mi riferisco alla sola Polonia o all’Ue, ma all’intero Occidente».
I contadini polacchi e i camionisti protestano al confine con l’Ucraina.
«Probabilmente sono il politico più filoucraino d’Europa, ma mi devo prendere cura dei miei cittadini. I polacchi stanno pagando un prezzo elevato. Vogliamo aiutare l’Ucraina il più possibile. Ma all’ultimo Consiglio europeo ho sostenuto che l’idea del libero scambio con l’Ucraina deve essere ripensata. Credo di aver convinto Francia, Italia e Austria.
Voglio un accordo equo con l’Ucraina su questo punto».
Lei è stato invitato alla Casa Bianca due settimane fa. Quale messaggio ha portato dagli Usa?
«Il messaggio è che, a prescindere da chi vinca le elezioni americane, se JoeBiden o Donald Trump, è l’Europa che deve fare di più sulla difesa. Non per raggiungere l’autonomia militare nei confronti degli Usa o per creare strutture parallele alla Nato, ma per sfruttare meglio il nostro potenziale, le nostre capacità e la nostra forza .
Francamente, anche se Trump dovesse vincere, l’Europa dovrà comunque essere più attiva nel promuovere i legami transatlantici, perché sono l’unico modo responsabile per difendersi dalla Russia e da altre autocrazie».
Lei dice che l’Europa dovrebbe spendere di più per la difesa. Ma come si può finanziare?
«Non c’è motivo per cui gli europei non debbano rispettare un principio fondamentale e spendere almeno il 2% del Pil per la difesa. Il punto di partenza è questo. Posso capire che non tutti i Paesi vogliano adottare il modello polacco. Noi spendiamo il 4%, ma è anche vero che la nostra situazione è più complessa di quella della Spagna o dell’Italia. Il 2% del Pil, però, deve essere considerato unmust .Non capisco chi lo mette in discussione. Possiamo discutere di Eurobond per la difesa e di un maggiore coinvolgimento della Bei.
Ma dobbiamo spendere il più possibile per acquistare attrezzature e munizioni per l’Ucraina, perché stiamo vivendo il momento più critico dalla fine della Seconda guerra mondiale. I prossimi due anni saranno decisivi. Se non riusciremo a sostenere l’Ucraina con attrezzature e munizioni sufficienti, se perderà, nessuno in Europa potrà sentirsi al sicuro».
Non teme che Putin usi l’attacco alla Crocus City Hall vicino a Mosca come pretesto per inasprire la guerra in Ucraina?
«La storia ci insegna che Putin usa queste tragedie per i suoi scopi.
Ricordiamo cosa è successo dopo l’attacco al teatro Dubrovka o alla scuola di Beslan. Putin ha già iniziato a incolpare l’Ucraina di aver organizzato l’attentato, senza fornire alcuna prova a riguardo.
Evidentemente ha bisogno di giustificare attacchi sempre più violenti contro obiettivi civili in Ucraina».
Torniamo all’Europa. Che ruolo ha attualmente il Triangolo di Weimar polacco-tedesco-francese per la Ue?
«La cosa più importante per lasicurezza dell’Europa è l’intesa e la cooperazione tra Francia, Germania e Polonia sulla difesa. La Polonia, grazie alla sua posizione geografica e al suo attivismo nell’area, può svolgere un ruolo molto costruttivo.
Nell’Ue esistono vari formati. Quando sono diventato primo ministro, la mia prima iniziativa è stata quella di rinnovare le relazioni con i Paesi nordici, in particolare con la Svezia e la Finlandia quando hanno aderito alla Nato. In termini di solidarietà sulle questioni di sicurezza, è un formato estremamente promettente. E ora sto cercando di migliorare le relazioni con i colleghi del gruppo di Visegrad».
Però, dopo il suo recente incontro con Macron e Scholz, in Europa si sono levate voci irritate.
La premier italiana Meloni è contrariata per non essere stata invitata, nonostante il suo Paese presieda il G7.
«Voglio lavorare a stretto contatto con la premier Meloni. Ha già dimostrato che, quando si tratta di geopolitica e di interessi comuni, è più europeista e responsabile di quanto ci si aspettasse. Farò tutto il necessario per sviluppare le relazioni italo-polacche e per fare dell’Italia un attore importante in Europa. Sto preparando una visita a Roma, cercherò di fugare personalmente tutti i dubbi sul Triangolo di Weimar».
Sul fronte interno, Meloni mostra un volto più autoritario. Si scaglia contro giornalisti, editori e magistrati, riprendendo spunti che somigliano a quelli del PiS. Eppure a Bruxelles si parla sempre più spesso di una collaborazione tra il Ppe e Meloni, addirittura di una possibile adesione di Fdi al Ppe. È realistico?
«Conosco Meloni da troppo poco tempo per poter dare un giudizio. Ma da quello che sento dire dai suoi omologhi, non solo nel Ppe, anche dai socialisti o dai liberali, è che il ruolo positivo di Meloni a Bruxelles, nel Consiglio europeo, è ampiamente apprezzato. Sono rimasto colpito quando l’ho sentita parlare pubblicamente a sostegno dell’Ucraina. Ha difeso con passione le scelte filoucraine nel Parlamento italiano. A livello internazionale, le sento fare solo dichiarazioni europeiste. Ma Meloni è certamente consapevole che avrei difficoltà ad accettare le sue opinioni e i suoi metodi nella politica interna».
Dopo le elezioni del Parlamento europeo ci sarà di nuovo un’alleanza tra Ppe, socialdemocratici e i liberali, oppure con l’estrema destra?
«Ho una posizione chiara sui partiti di estrema destra in Polonia. Ma ognileader democratico conosce meglio la situazione del proprio Paese e decide autonomamente quale strategia adottare».
Intende rinegoziare il Patto sulla migrazione adottato dall’Ue?
«Purtroppo il Patto non è una buona risposta ai problemi che affrontiamo in Polonia. Nella nostra parte d’Europa, l’immigrazione ha un volto diverso da quella a cui si assiste del Mediterraneo. Oggi assistiamo di nuovo a un’operazione orchestrata dal regime di Lukashenko al confine con la Bielorussia. Non giustificherò alcuni dei metodi usati dalle guardie di frontiera polacche, ma non possiamo essere inermi di fronte a Putin e Lukashenko».
Come leader dell’opposizione, lei ha vinto una battaglia impari con il PiS. Cosa può imparare l’Europa dalla vittoria polacca sul populismo?
«Ci vuole determinazione e fiducia nella vittoria, questo è fondamentale. Kaczynski e i suoi tirapiedi erano molto più deboli di quanto non si pensasse. Il problema era convincere le persone che lo “Stato di diritto” o la “libertà” non sono astrazioni, ma questioni che riguardano la vita di tutti i giorni. Ho lottato per la libertà quando ero un ventenne e purtroppo abbiamo imparato che in Polonia, negli ultimi tempi, è stata necessaria una determinazione simile a quella che abbiamo dimostrato nella lotta al comunismo. L’aspetto più importante è che non bisogna mai essere ambigui. Se qualcuno è un ladro bisogna dire che è un ladro, e se c’è corruzione e violenza bisogna parlare di corruzione e violenza.
Inoltre, per vincere contro l’autoritarismo e i populisti, a volte bisogna essere in grado di usare i loro stessi argomenti. A volte Kaczynski o Orbán hanno ragione nelle loro diagnosi, ma la medicina è velenosa e sbagliata. Ad esempio, durante la prima crisi migratoria del 2015».
È per questo che il suo governo sta continuando a respingere profughi al confine con la Bielorussia?
«È una vicenda completamente diversa. Il diritto internazionale deve essere corretto su questo punto, anche se so che oggi è quasi impossibile. Le leggi attuali sono nate in tempi completamente diversi».
La Convenzione di Ginevra sui rifugiati obbliga gli Stati a esaminare ogni richiesta di asilo.
«Nessuno può esaminare ogni persona se la Russia e la Bielorussia spingono migliaia di persone alla volta al confine. Lo fanno deliberatamente e freddamente.
Vogliono che arriviamo a un punto in cui dobbiamo negare i nostri diritti e valori. Ma l’alternativa non può essere l’impotenza».
L’intervista è stata realizzata con Bartosz T. Wieli?ski (Gazeta Wyborcza), Gloria Rodriguez-Pina (El Pais), Dominik Kalus (Die Welt) e Patrice Senecal (Le Soir)