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Ecco le foto che Dora Maar scattò all’artista mentre dipingeva l’opera e le incisioni “preparatorie”
Guernica è prima un quadro, poi una città, quindi un urlo, una raffigurazione, un segno, una ferita sul corpo del Novecento. Guernica è il bombardamento effettuato il 26 aprile 1937 sul villaggio basco del Golfo di Biscaglia, città santa della guerra civile, dalla Legione Condor della Luftwaffe con il supporto della Aviazione Legionaria italiana. Uno dei primi esempi di rappresaglia aerea terroristica contro la popolazione civile che lasciò sul terreno almeno trecento morti.
Una città fino a quel momento sconosciuta, un bombardamento, incolpevoli vittime civili. Guernica è stata citata di recente dal presidente ucraino Volodimir Zelenski in un discorso pubblico in cui ha confrontato la situazione vissuta allora in Spagna con le azioni compiute dall’esercito russo a Mariupol, Kherson o Bucha. «È il 2022, ma sembra il 1937», ha detto.
«Dicono che la Storia si ripete, ma la verità è che le sue lezioni non vengono sfruttate» è invece una frase attribuita a Camille Salomon Sée (1847-1919).
Arte, politica, Storia. «Questa è Guernica: un grido confitto nella fronte» scrisse il critico dell’arte Mario De Micheli nel 1941.
Domanda: come si fa a raccontare, ancora una volta ma in un modo nuovo, lo scandalo di Guernica? Risposta: allestendo una mostra come Picasso e Guernica: genesi di un capolavoro. Contro tutte le guerre allestita al Man di Nuoro (fino al 19 febbraio, catalogo Intelinea). Fortemente voluta da Chiara Gatti, nuova attivissima direttrice del museo sardo, e curata da Michele Tavola, l’esposizione vuole fare incontrare il passato e il presente di un’opera universale (oggi inamovibile, al museo Reina Sofía di Madrid) di cui qui sentiamo l’eco, captiamo il messaggio «contro tutte le guerre» che impregna l’immensa tela, ne osserviamo la genesi e ripercorriamo l’odissea. Guernica fu dipinto in esilio a Parigi, trovò ricovero al MoMA di New York, girò per il mondo, e poi, nel 1981, a otto anni dalla morte dell’artista e a sei da quella di Francisco Franco, arrivò finalmente a casa, in Spagna.
La mostra al Man celebra la prima, unica e ultima esposizione in Italia di Guernica, ormai settant’anni fa, nel settembre 1953, al Palazzo Reale di Milano. In quell’anno era in programma una grandissima retrospettiva dedicata a Pablo Picasso, con oltre trecento opere, ma Guernica non era previsto. Arrivò all’ultimo momento dal Museum of Modern Art di New York, dove era in deposito in attesa del ritorno della democrazia in Spagna, grazie all’intercessione dell’amico Attilio Rossi che convinse personalmente il «compagno» Picasso proponendogli come spazio la Sala delle Cariatidi. Si dice che lo spagnolo, vedendo quel luogo, che portava ancora le tracce dei bombardamenti della guerra, si commosse – cosa che gli capitava raramente – e disse sì. Il tutto fu così repentino che di quella mostra eccezionale esistono due cataloghi: uno, in seconda edizione, con il Guernica, e uno, in prima edizione, senza.
E qui al Man c’è tutto ciò che ricorda la storica tappa italiana, con le fotografie della grande tela scattate in quei giorni da René Burri e da Mario Perotti nella sala devastata, i documenti che accompagnarono il trasporto, le lettere degli artisti in pellegrinaggio estasiato a Milano, un enorme manifesto originale della mostra e la foto dello stendardo appeso fuori da Palazzo Reale dove, probabilmente per la prima volta in Italia, compare come immagine guida non un’opera ma la riproduzione della firma «Picasso», coloratissima: l’artista che diventa brand.
E poi, ecco Guernica prima di Guernica e durante Guernica. Tra i pezzi più belli della mostra di Nuoro: il dittico di incisioni intitolato Sueño y mentira de Franco, «Il sogno e la menzogna di Franco», vero e proprio contraltare grafico del dipinto, realizzate da Picasso nel 1937 per finanziare l’esercito della Repubblica spagnola contro le milizie di Franco dove il futuro dittatore è raffigurato come un mostro: un’escrescenza schifosa che prende a picconate un’opera d’arte, si inginocchia nel filo spinato, siede tronfio in sella al suo cavallo, è incornato da un toro; e poi la serie di fotografie – stupende – che Dora Maar, sua musa e sua amante, scattò in quelle settimane a Picasso mentre era impegnato a combattere con i ventisette metri quadrati di tela in iuta grezza nello studio al primo piano in Rue des Grands Augustins a Parigi. Una straordinaria testimonianza del work in progress del Guernica.
Fra gli altri pezzi presenti al Man: due ritratti di Dora Maar, incisioni a punta secca, firmati da Picasso nel ’36. Una fotografia del pittore con una gigantesca maschera da toro scattata da Edward Quinn. Una serie di disegni e incisioni che risalgono agli anni del Guernica e che presentano gli stessi elementi figurativi: il toro, il minotauro, il cavallo, il picador, la donna che piange… A proposito. E se il volto di donna in preda al dolore Picasso l’avesse rubato a un fotogramma del film di Sergej Ejzentejn La corazzata Potëmkin, che è del 1925, e che il pittore di sicuro vide? Qui c’è un ingrandimento di quella immagine filmica accanto al particolare del dipinto, e il dubbio è concreto…
E poi, ad accogliere il visitatore, due omaggi speciali dal territorio sardo. L’imponente arazzo in lana di pecora (un gigantesco polittico di sei pezzi, ognuno focalizzato su un dettaglio di Guernica riprodotto in scala 1:1) realizzato con telaio verticale in quattro mesi dalle tessitrici-artiste dello Studio Pratha, la più giovane delle quali ha 72 anni, la meno giovane 94; e un geniale corto d’animazione di Manuelle Mureddu intitolato Gernika, che è il nome della città di Guernica in lingua basca.
Dalla tela al cinema, dall’arazzo ai murales – quelli lasciati da Banksy sulle case dell’Ucraina – l’arte continua a ripudiare la guerra nel nome e nel segno di Pablo Picasso (1881-1973). Il quale, a dimostrazione della sua universalità, nel corso del 2023, a cinquant’anni dalla morte, sarà celebrato con 42 mostre ufficiali in 38 musei in Europa e Stati Uniti. Tutte inaugurate dal re e dalla regina di Spagna.