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13 Marzo 2024NEWS
13 Marzo 2024Politica e giustizia
di Franco Camarlinghi
Se si considerano gli esiti di tante inchieste e processi che hanno riguardato l’amministrazione pubblica, si potrebbe dire che, se si volesse definire il rapporto fra magistratura e politica come una gara, sarebbe bene fare a meno del motto olimpico di Pierre De Coubertin. La competizione che si è via via accentuata negli ultimi decenni è di quelle per cui, perlomeno dal punto di vista di una squadra in gara, si dovrebbe cambiare il motto: da «l’importante non è vincere, ma partecipare» a un altro, cioè «l’importante è non partecipare, di vincere non se ne parla nemmeno». La squadra di cui si parla è la politica e quanto sopra viene in mente all’indomani delle assoluzioni nel processo Consip, durato ben sette anni. Il processo non ha avuto e non avrà sede a Firenze, ma alcuni degli attori principali sono fiorentini, fra questi Luca Lotti e Tiziano Renzi che non me ne vorranno se estendo l’aggettivo urbano ai fieri comuni di Montelupo e Rignano.
Va detto subito che in questo come in altri processi c’è un protagonista notevolmente diverso dal normale, cioè uno che, una volta che sia costretto a partecipare (a Firenze sulle accuse a Matteo Renzi non si fa a miccino, come si diceva una volta), non fa finta di rispettare le convenzioni non scritte del rapporto di sottomissione dell’indagato all’accusatore: anzi reagisce senza risparmio alcuno. Dato a Cesare quel che è di Cesare, anche nella capitale della Toscana si sono succeduti processi con esiti fallimentari per l’accusa.
Ma che hanno occupato per anni lo schermo di un’opinione pubblica disorientata da una crescita esponenziale di giustizialismo e relativo populismo. Ne prendiamo ad esempio solo uno, quello con l’inchiesta che si aprì sui progetti per l’area di Castello a ridosso delle primarie del Pd per il candidato alla stanza di Clemente VII nel 2009.
Per chi non se lo ricordasse coinvolse i vertici di una classe politica che dominava il campo del gioco politico da decenni, quella dell’ex-Pci, il cui eroe eponimo era Graziano Cioni. Il processo durò sette anni e più, tutti i protagonisti furono assolti: nel frattempo la scena politica nazionale e locale era cambiata un paio di volte, con carriere politiche finite e soprattutto vicende umane messe all’angolo. All’inizio di quella vicenda Matteo Renzi che aveva capito lo stato di progressiva crisi di una classe dirigente ormai consumata, passò attraverso quella situazione che non sarà stata per lui determinante, ma neppure insignificante.
L’influenza dell’azione giudiziaria sulla politica fiorentina è stata permanente da quel momento in poi, ma non era mancata nei tempi anche lontani, anzi aveva consentito, per una volta, all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, di cambiare maggioranza politica senza ricorrere a nuove elezioni. Si trattò della caduta della giunta di sinistra di Elio Gabbuggiani in seguito all’inchiesta sul carcere di Sollicciano che, dopo i soliti anni necessari al processo, si concluse senza condanne.
Si tornò, allora, a un centrosinistra d’antan per poco: poi si ripeté dal ’90 al ’95, ma per il voto dei cittadini e non per altro. È utile ricordare quanto sopra per dare un giudizio sullo stato di quella che abbiamo chiamato gara, al fine di sollevare un po’ lo spirito che finisce nei tacchi, quando si parla di giustizia e di rapporto fra questa e la politica.
La giustizia spesso sbaglia obiettivo e per certificare tale errore fa passare un tempo che non si può recuperare: la politica talora può reagire con energia (è il caso di Matteo Renzi, al di là di qualsiasi altra considerazione), ma alla fine è la prima responsabile della sua generale condizione di inferiorità.
Che si guardi a destra, oppure a sinistra, oppure al centro, nessuno in Italia è riuscito a porsi, sulle questioni che abbiamo citato, su un sentiero di riforme tali da diventare fonti di vero garantismo. Quando si parla di giustizia tutti i partiti dicono di avere la lampada, ma non si trova mai Aladino per far venire fuori un genio che faccia le riforme.
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