L’editoriale
È un testo nel quale Berlin esamina a fondo i pensieri di Platone, Rousseau, Hegel e Marx affermando che presentano una minaccia per la democrazia a causa della loro “natura autoritaria” e della “propensione verso un governo forte e centralizzato”. In particolare, osserva Berlin, questi quattro filosofi tendono ad enfatizzare il ruolo di un’élite o di un singolo individuo all’interno della società, mettendo in discussione i principi di pluralismo fondamentali per il funzionamento di una democrazia liberale. Ma, in particolare, Berlin aggiunge che “il più sinistro e formidabile nemico della libertà in tutta la Storia del pensiero moderno” è Jean-Jacques Rousseau perché è stato lui a creare gli strumenti filosofici essenziali alla tirannia contemporanea giustificando l’idea di un rapporto diretto fra il leader ed il popolo che si contrappone in maniera netta al pensiero di Montesquieu sull’equilibrio fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario su cui sono fondate le democrazie contemporanee.
Gli scritti di Isaiah Berlin, considerato il maggiore filosofo del pensiero democratico nel Novecento, costituiscono un’indispensabile chiave di lettura a quanto sta avvenendo oggi in Nordamerica ed in Europa, dove le democrazie sono alle prese con leader che teorizzano e praticano un crescente accentramento dei poteri sull’esecutivo, indebolendo l’equilibrio con legislativo e giudiziario. Il primo e più evidente interprete di questa versione illiberale di democrazia è stato Donald Trump, l’ex presidente americano che il 6 gennaio 2021 legittimò l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso di Washington al fine di impedire la proclamazione di Joe Biden a nuovo inquilino della Casa Bianca. Nei quasi quattro anni trascorsi da allora Trump non ha mai riconosciuto l’elezione di Biden, non ha condannato la violazione di Capitol Hill ed ha trasformato la “negazione” del risultato elettorale delle presidenziali del 2020 nella base identitaria del suo movimento politico, che si è impossessato del partito repubblicano e punta ora a riportarlo alla Casa Bianca nel prossimo novembre.
Trump interpreta in maniera esplicita l’identificazione assoluta fra il leader e il popolo senza alcun rispetto per il testo della Costituzione americana.
In Europa Viktor Orbán, primo ministro ungherese dal 2010, è protagonista di un approccio assai simile perché interprete di politiche — dalla giustizia all’informazione fino ai diritti civili — che accentrano ogni potere sull’esecutivo entrando in aperta collisione con i principi sui quali l’Unione Europea è stata fondatae costruita dai Trattati di Roma in poi.
Quanto sta avvenendo in Italia dalla nascita del governo Meloni ci suggerisce che anche noi stiamo andando nella stessa direzione. Il motivo ha a che vedere con le scelte politiche compiute dalla presidente del Consiglio. Prima ha accentrato su Palazzo Chigi la gestione del “Next Generation Eu”, il Recovery Plan che gli altri maggiori Paesi europei hanno affidato al ministero dell’Economia, poi ha assegnato sempre a Palazzo Chigi la guida del “Piano Mattei”, l’iniziativa diplomatica per l’Africa che sarebbe spettata per competenza al ministero degli Esteri, e quindi ha proposto una riforma della Costituzione con meccanismi e caratteristiche che accentrano i poteri sul capo del governo, indebolendo quelli del Capo dello Stato e stravolgendo la natura parlamentare della nostra Repubblica. Il tutto passando attraverso una serie di azioni e decisioni tese ad indebolire l’indipendenza del sistema giudiziario ed a ridurre l’indipendenza dei mezzi di informazione, ovvero della libertà di espressione.
Nulla da sorprendersi dunque se ieri, sul palco della convention programmatica di Fratelli d’Italia — il partito della premier — il capo della cybersecurity, Bruno Frattasi, e il presidente di Leonardo, Stefano Pontecorvo, hanno scelto di farsi fotografare assieme alle magliette con le insegne di FdI, diventandone di fatto testimonial. Tanto Frattasi che Pontecorvo sono stimati e rispettati professionisti nei rispettivi campi di competenza ma trasformarli in vettori di pubblicità politica significa, da parte della premier Meloni, confermare di perseguire la fusione fra il suo partito e lo Stato italiano. Dunque, portare alle estreme conseguenze la centralizzazione di ogni potere sul capo dell’esecutivo, come Rousseau teorizzava e Berlin identificava nel maggiore vulnus del sistema democratico.
Non c’è nulla di male se un alto funzionario dello Stato o un importante manager di un’azienda pubblica o a partecipazione statale sostiene un partito al governo, la ferita si crea però quando tutto ciò si trasforma fino a diventare simbiosi totale. Proprio come una ferita è stata la decisione della premier di giustificare la censura Rai contro il monologo dello scrittore Antonio Scurati sul 25 Aprile non criticando le sue idee ma attaccando la sua persona.
Ecco perché ha ragione Scurati a parlare di “svolta illiberale già in corso in Italia” lì dove “illiberale” ha il significato che gli diede Berlin: sta venendo meno il rispetto delle regole basilari dello Stato di Diritto che consentono ad una democrazia liberale di essere tale.