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23 Maggio 2023Il confine della decenza
23 Maggio 2023
di Giovanni Bianconi
Palermo, il procuratore De Lucia a 31 anni da Capaci: con l’arresto di Messina Denaro un debito in meno con i nostri martiri, ma le coperture della borghesia sono un reato
PALERMO Procuratore Maurizio De Lucia, che significato ha il primo anniversario dell’attentato di Capaci senza più mafiosi stragisti in circolazione?
«È una ricorrenza diversa, proprio perché oggi tutti i colpevoli accertati delle bombe del ’92 e del ’93 sono in carcere, al “41 bis”, o deceduti. Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, l’ultimo stragista latitante, lo Stato ha finalmente un debito in meno da pagare con i propri martiri. Fermo restando che molto resta da fare per chiarire le zone d’ombra che continuano a gravare su quella stagione».
Per esempio?
«Le indagini sulle stragi sono competenza di altri uffici giudiziari che stanno lavorando alacremente, ma chi ha indicato i luoghi delle stragi del 1993, o le vere ragioni dell’accelerazione dell’attentato a Paolo Borsellino, sono due delle domande ancora senza risposta».
Pensa a interventi esterni a Cosa nostra?
«Sono ipotesi. Di certo Cosa nostra non è e non è stata solo un raggruppamento di contadini corleonesi, ma anche un insieme di intelligenze che nel tempo li hanno aiutati, e dunque non è irragionevole pensare ad altri soggetti che hanno svolto un ruolo di consulenza, per così dire. Ma, di nuovo, è materia d’interesse di altre Procure».
La sua invece sta disegnando il volto di una mafia che fino al momento del suo arresto era incarnata da Messina Denaro. Che immagine ne viene fuori?
«Matteo Messina Denaro è l’emblema della mafia che ha cambiato faccia. Lui rappresenta il passato stragista, ma aveva già avviato la nuova fase degli affari e dei traffici necessari a fare impresa. Ora che è uscito di scena, quell’indirizzo resta. L’organizzazione mafiosa è abituata a perdere i propri capi; può non avere altri esponenti con la stessa visione strategica, ma certamente continua a seguire le linee tracciate da Messina Denaro: tornare a occuparsi di traffico di stupefacenti e di appalti».
Un ritorno all’epoca pre-stragi, sembrerebbe.
«È ciò che serve all’organizzazione per arricchirsi e sedersi nuovamente a un tavolo di relazioni con altri mondi, come emerge dalle indagini in corso. Sul traffico di stupefacenti abbiamo appena arrestato un broker magrebino che non si limitava alla gestione delle piazze ma aveva intrecciato affari con Cosa nostra, che nonostante il sopravvento preso dalla ’ndrangheta calabrese in questo settore, resta un brand molto appetibile. Per quanto riguarda gli appalti, c’è la grande occasione dei fondi del Pnrr che si cerca di sfruttare con imprese mafiose presenti sul territorio e attraverso i subappalti».
Che rappresentano un terreno più insidioso?
«Nei subappalti è più difficile effettuare i controlli, perché non troveremo imprese diretta espressione dei mafiosi bensì apparentemente pulite ma infiltrate da mafiosi. Le indagini che il mio ufficio sta portando avanti, nonostante scoperture di organico che toccano il 50% dei magistrati in Antimafia e un carico di lavoro di cui le statistiche non danno l’esatta misura, chiariranno questi meccanismi».
Intanto però si continuano ad avanzare dubbi anche sulla genuinità dell’operazione che ha portato all’arresto di Messina Denaro.
No ai protagonismi
Deludente vedere alcune delle icone antimafia che si sono rivelate diverse da come apparivano
«Io non posso che ribadire ciò che abbiamo detto dal 16 gennaio in avanti, anche con i provvedimenti successivi alla cattura: si è trattato di un’operazione del tutto trasparente, condotta senza misteri da carabinieri che hanno saputo farlo con abilità. Le opzioni alternative si devono dimostrare, ma siccome i fatti sono quelli, mi rendo conto che è difficile. Evidentemente i dubbi e le ombre fanno parte di un modo di ragionare di cui non possiamo che prendere atto».
A che punto sono le inchieste sulle complicità di cui ha goduto il capomafia?
«Bisogna distinguere tra chi l’ha aiutato concretamente — qualcuno è già stato individuato e altri lo saranno — e chi s’è solo girato dall’altra parte, in una sorta di forzata disattenzione. Questo secondo aspetto investe la coscienza della società civile in certe zone del territorio nazionale, ma se ne devono occupare la politica, la sociologia e la stampa, non chi esercita l’azione penale. C’è differenza tra chi ha portato il cestino del pane a un latitante, commettendo un reato, e chi invece l’ha visto uscire e ha solo fatto finta di niente, come non fosse affar suo».
È lo stesso parametro da applicare alla cosiddetta borghesia mafiosa, di cui pure s’è parlato dopo l’arresto di Messina Denaro?
«Lì c’è qualcosa di più, perché nella borghesia mafiosa rientra non solo chi conosce i mafiosi, ma pure chi con loro cerca un dialogo e fa favori per averne altri in cambio che lo aiutino a risolvere i propri problemi. Purtroppo è una realtà già scoperta dall’indagine di Franchetti e Sonnino nel 1876, ed è ciò che fa la differenza tra Cosa nostra e altre organizzazioni criminali».
Anche questo ambito riguarda più la politica che la magistratura?
«No, questa è una realtà che ha anche aspetti penali, perché fornendo un contributo al rafforzamento di Cosa nostra si commette il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che la Cassazione continua a considerare un importante strumento di contrasto. E su questo stiamo lavorando in relazione alle figure che ruotavano intorno a Matteo Messina Denaro».
A che settori della società appartengono?
«Alla borghesia in senso ampio, in quanto ceto sociale, come al mondo della politica, delle imprese e delle professioni».
Questo significa che la mafia ha vinto sul risveglio della società civile avviatosi 31 anni fa, dal movimento dei lenzuoli bianchi fino alle manifestazioni di oggi?
«No, significa che la mafia è una struttura elastica e complessa che sa adeguarsi alle realtà che cambiano. La società civile ha fatto enormi passi avanti, perché è vero che dopo trentuno anni parliamo ancora di complicità, ma è anche vero che oggi nelle scuole elementari di Palermo i bambini sanno chi erano Falcone e Borsellino, e non era affatto scontato. Non abbiamo sconfitto la mafia, ma fatto progressi importanti che sono costati molto, anche in termini di delusione quando alcune delle cosiddette icone antimafia si sono rivelate diverse da come apparivano. Fare antimafia dev’essere anzitutto un servizio, e ciò richiede grande attenzione anche verso certi protagonismi».
Lei dov’era il 23 maggio 1992?
La svolta
L’ex latitante aveva già avviato la nuova fase:
è l’emblema della nuova faccia di Cosa nostra
«A Palermo, magistrato da appena due anni e giovane sostituto procuratore che in un periodo di pochi telefonini e molti telegiornali apprese con sgomento la notizia dell’esplosione sull’autostrada; con altri colleghi corremmo all’obitorio, dove apprendemmo della morte di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, dopo quella dei tre agenti di scorta. Fu un episodio che ha segnato me e un’intera generazione di magistrati che in seguito hanno lavorato tentando di seguire con scrupolo l’esempio di chi non c’è più. L’essersi ritrovato, trentuno anni dopo, a coordinare la cattura di Matteo Messina Denaro che ovviamente è stata possibile grazie al lavoro di tante altre persone, è la chiusura di un cerchio che conta per me, ma non credo abbia grande valenza pubblica».