Il suo nome per molto tempo non diceva granché neppure alle procure antimafia. Eppure Sergio Gangemi è un imprenditore sul cui conto c’è molto da raccontare. È uomo d’azione, organizzatore di spedizioni punitive. Ma è anche soprattutto custode di relazioni con l’imprenditoria, la finanza e la politica.

Quello di Gangemi è tra i nomi citati dai pentiti del clan Di Silvio di Latina, lo indicano tra i sostenitori di un giovane politico locale, passato nella Lega di Matteo Salvini, da poco solo un imprenditore: Andrea Fanti. Portato nel partito sovranista da Claudio Durigon, l’ex sottosegretario, che ha dovuto dare le dimissioni dal governo tra mille polemiche per le ripetute figuracce: durante un comizio, con Salvini presente sul palco, propose di intitolare il parco “Falcone-Borsellino” di Latina al fratello di Benito Mussolini.

Durigon è il ras del movimento nel Lazio, nel cerchio magico di Salvini nonostante i sospetti sulla sua campagna elettorale delle politiche del 2018 cui hanno contribuito due personaggi di Latina poi indagati in inchieste che hanno sfiorato il clan Di Silvio.

«Adesso ho aziende, ho investimenti a Ponza, cose importanti, purtroppo per la politica non ho più tempo», dice Fanti a Domani. Prima di entrare nella Lega è stato candidato alle comunali del capoluogo pontino nel 2016 a sostegno di Nicola Calandrini di Fratelli d’Italia, appoggiato pure dalla Lega. Il 20 maggio 2020 il collaboratore di giustizia Riccardo Agostino ha detto ai pm: «Noi abbiamo fatto la compravendita di voti per Andrea Fanti… ci fu una discussione con un attacchino perché stava attaccando i manifesti sopra i nostri e gli abbiamo fatto presente chi eravamo e che non doveva coprire i nostri, quelli della lista Noi con Salvini».

Nello stesso interrogatorio Agostino aveva aggiunto che «la campagna di Fanti era curata da Simone Di Marcantonio e Gangemi… Fanti era il migliore amico di Di Marcantonio, di Gangemi e di tutto il gruppo». Di Marcantonio era stato accolto nel sindacato Ugl per volere sempre di Durigon, quando era un pezzo da novanta di quell’organizzazione. Gangemi, invece, era ritenuto vicino alla ‘ndrangheta e legatissimo a Di Marcantonio, sospettato dai pm di aver persino fatto da prestanome a Gangemi.

Fanti replica: «Non è vero, Agostino lo conosco perché Latina è piccola, fu lui a proporsi per la campagna elettorale e io gli dissi di no, dice bugie: ho chiesto di farmi interrogare nonostante non sia indagato ma nessuno mi ha voluto sentire». Poi conferma di «conoscere benissimo» Di Marcantonio, «è un amico, ma non lo vedo da anni».

Nel frattempo Di Marcantonio è stato anche arrestato, poi scarcerato, ma tuttora indagato in un’inchiesta sul clan Di Silvio.

Quel che non era mai emerso così chiaramente è il vero ruolo di Gangemi nello scacchiere criminale del Lazio. I documenti ottenuti da Domani rivelano che è molto più di una figura contigua alla ‘ndrangheta.

Sarebbe espressione, scrivono i detective antimafia in un’informativa del 2018, di un vero e proprio gruppo radicato nella provincia di Latina, parte di una rete che conduce all’alleanza mafiosa che si è presa Roma e il Lazio, come raccontato su queste pagine nei giorni scorsi. Per questo l’aiuto ottenuto dal leghista per la campagna elettorale assume contorni ancora più torbidi.

IL FUTURO LEGHISTA

Fanti in un’intervista a una testata online aveva annunciato di voler denunciare il pentito. Allo stesso tempo non ha mai nascosto l’amicizia con Durigon. Anzi aveva ammesso che proprio quest’ultimo lo ha voluto nel partito.

Gli investigatori che hanno incrociato documenti giudiziari del passato e analizzato decine di segnalazioni dell’antiriciclaggio recenti hanno definito la famiglia Gangemi «una holding» con a capo il padre di Sergio.

Originari di Reggio Calabria città, il capo famiglie «sarebbe legato a alla ‘ndrina Araniti», cognome che ha segnato la storia degli ultimi 50 anni di storia criminale in Calabria.

Nelle carte analizzate il flusso di denaro movimentato tra società tra Italia e estero è notevole.

Gli investigatori antimafia descrivono così il gruppo cui appartiene il sostenitore del leghista Fanti: «Il nucleo familiare dei Gangemi, ormai stabilmente nell’area pontina e della Capitale, rappresenta certamente un fulcro di cointeressenze con le cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio: in tal senso va infatti interpretato il continuo reinvestimento di capitali illeciti realizzato attraverso l’acquisto di immobili ed un vorticoso ed eclettico impegno di interessi economici e finanziari che è verosimile avvenga sotto il controllo, la direzione o quantomeno il placet delle organizzazioni criminali calabresi».

Chi ha indagato sui clan nel Lazio ricorda anche una vecchia amicizia tra Gangemi e Enrico Nicoletti, il cassiere della famigerata banda della Magliana che ha ispirato il libro e il film Romanzo Criminale: «Legame che progressivamente si estendeva anche al figlio Sergio».

L’ascesa di Sergio Gangemi, si legge nel documento, «restituisce la fotografia plastica del laboratorio criminale che è il Lazio, dove nello stesso circuito relazionale si intrecciano figure e interessi della ‘ndrangheta, di cosa nostra siciliana, della camorra e della banda della Magliana».

In pratica la “santa alleanza” che si è presa la capitale e la regione.

COMPLICITÀ E BOMBE

Il gruppo Gangemi, sotto osservazione nel 2018 dalla direzione investigativa antimafia, avrebbe incrementato il proprio potere grazie a una rete di complici nel mondo delle professioni: avvocati e notai, che hanno curato l’intestazione delle società a prestanome. Un’ipotesi suggestiva tutta da dimostrare.

L’elenco di società e immobili acquistati negli ultimi anni è lungo ed è stato ricostruito grazie al lavoro dell’antiriciclaggio che ha riportato tutte le operazioni finanziarie anomale in alcune relazioni, tutte collegate alla famiglia Gangemi.

L’analisi dei detective è riassunta in queste poche righe: «La “holding” Gangemi è chiaro abbia la piena gestione dei macro flussi economici riallocando i capitali illeciti in centinaia di rivoli di imprese ed aziende fittiziamente intestate, ed individuando i principali canali di investimento».

Tra i collaboratori che hanno fatto da prestanome di Gangemi c’era anche Di Marcantonio, l’ex sindacalista portato da Durigon nell’Ugl, che secondo il pentito avrebbe sostenuto la campagna del leghista Fanti nel 2016 insieme a Sergio Gangemi, che è, secondo le informative antimafia, molto di più di un imprenditore con qualche guaio giudiziario sulle spalle: sarebbe piuttosto l’emissario della ‘ndrangheta nel Lazio fin dentro la capitale.

«Conosco anche Gangemi, ma sono un commerciante vedo e parlo con tantissima gente, sanno tutti chi è Gangemi a Latina, ma non ho mai fatto affari con lui», si difende Fanti.

Scrivono gli investigatori, «è verosimile che una volta definiti gli obiettivi, il gruppo operativo sia del tutto funzionale alla soluzione di eventuali ostacoli sul territorio: in tal senso sono da inquadrarsi le aderenze con le amministrazioni comunali che, laddove non conniventi, vengono piegate attraverso uno stillicidio di episodi intimidatorio».

Gangemi del resto è stato coinvolto nelle minacce di un imprenditore a Torvaianica: da lui voleva 25 milioni di euro a fronte di un prestito di 13 milioni. Per convincerlo, ha denunciato la vittima, hanno usato due bombe a mano, modello in uso all’esercito italiano e maltese.

Armi da guerra per punire chi non voleva più sottostare alle regole imposte dal gruppo Gangemi. Le granate sono state lanciate contro la villa dell’imprenditore durante la prima spedizione. I resti sono stati ritrovati poi dalla polizia sul luogo. Nella seconda spedizione i colpi erano di di fucile automatico. In secondo grado Gangemi è stato condannato a 7 anni. Chi meglio di lui per condurre una campagna elettorale?