A mezzanotte l’incubo si materializza a largo del Nazareno, la sede romana del Pd. Le prime proiezioni inchiodano il partito sotto il 20%, la soglia psicologica di sopravvivenza. La notte è appena iniziata ma ormai resta solo da capire se sarà superato o meno il risultato di Matteo Renzi del 2018, il 18,7%, che Letta aveva definito più volte «disastroso». Il segretario è chiuso nella sua stanza al terzo piano con i fedelissimi, i big ci sono tutti, c’è persino una stanza dedicata a Roberto Speranza con tutti quelli di Articolo 1, che se n’erano andati nel 2017 dal Pd renziano e ora sono tornati, da Nico Stumpo ad Alfredo D’attorre.

GIÀ GLI EXIT POLL erano stati inclementi, le proiezioni sono un salto nel baratro. Fino a oltre l’una di notte nella grande sala stampa al terzo piano non si vede nessuno, neppure un parlamentare. «Non possiamo commentare degli exit-poll così generici». E tuttavia le proiezioni confermano l’andazzo. Anzi, lo peggiorano: il 20% resta un miraggio. Eppure nessuno ha il coraggio di salire e metterci la faccia. Fino a quando compare la capogruppo alla camera debiora Serracchiani, scurissima in volto, che parla di «serata triste per il paese». «Non possiamo non attribuire la vittoria alla destra trascinata da Giorgia Meloni», la formula usata. E ricorda che la destra «non è maggioranza nel paese». Di qui la «responsabilità» del Pd come «secondo forza politica e prima forza di opposizione». Serracchiani critica i risultati della Lega («Si aprirà una riflessione anche tra loro») e di Calenda, che «non ha raggiunto gli obiettivi che si era dato», per poi tornare sulla «responsabilità» che il Pd avrà «nel prossimo parlamento, e di fronte all’Europa in molti passaggi che saranno delicati».

SECONDO LE STIME di Youtrend il Pd avrà un centinaio di parlamentari tra Camera e Senato: 65 a Montecitorio e 33-34 a palazzo Madama. Molti meno delle aspettative, anche perché le vittorie nei collegi uninominali sono pochissime, inferiori alla decina e concentrate tra le aree di Bologna e Firenze e in qualche altre centro metropolitano.

Il risultato è persino sotto le aspettative che circolavano prima della chiusura delle urne al Nazareno. La sconfitta era messa nel conto ma si sperava di superare la soglia del 20% e di limitare la maggioranza raccolta attorno a Giorgia Meloni. E invece no: tutta la strategia messa in piedi da Letta dal 20 luglio, dopo la caduta di Draghi, si è rivelata fallimentare. La fedeltà all’agenda Draghi, lo strappo col M5S, la linea iper bellicista sull’Ucraina, la svolta sociale scritta nel programma ma comunicata senza convinzione, la scelta di polarizzare lo scontro a due con Meloni.

PER IL PD NON SI TRATTA solo della seconda sconfitta consecutiva alle politiche, dopo quella di Renzi nel 2018. Questa volta entra in gioco anche la sopravvivenza stessa di un progetto politico che non ha mai voluto scegliere tra sinistra e centro, e si è illuso di poter essere contemporaneamente un partito dell’establishment e la guida del centrosinistra.

Il congresso è previsto per l’inizio del 2023, probabilmente sarà anticipato, le dimissioni di Letta sono prevedibili, ma la sconfitta travolte tutto il gruppo dirigente, dagli ex renziani fino alla sinistra interna, compresa la truppa di Articolo 1 che con Roberto Speranza e Bersani ha deciso di tornare in lista con il Pd dopo la scissione del 2017.

LA NOTTE SI FA AVANTI sulla grande terrazza del Nazareno piena di troupe televisive che aspettano invano qualche altro dirigente che commenti il risultato. Per Letta è la notte più buia, forse peggiore di quella del 2014, quando il partito guidato da Renzi lo defenestrò da palazzo Chigi. Lui ha voluto che venerdì nella triste piazza del Popolo per il comizio finale ci fossero tutti sul palco, dai governatori (l’emiliano Bonaccini potrebbe essere il candidato per la segreteria) ai ministri ai big di tutte le correnti interne: un modo per dire che questa sconfitta è di tutti, che lui non farà il capro espiaatorio. E tuttavia è chiaro che, a un anno e mezzo dal suo ritorno da Parigi, dopo aver vinto due tornate di comunali, la parabola politica di Letta è di nuovo in discesa. Forse definitivamente chiusa. La sua campagna «Scegli», con il rosso e il nero, ha portato a un risultato chiaro: gli italiani hanno scelto Giorgia Meloni che sta almeno sei punti sopra il Pd. Ora bisognerà capire se le dimissioni saranno già nei prossimi giorni, o se i maggiorenti dem chiederanno a Letta l’estremo sforzo di guidare il partito fino al congresso anticipato magari a fine anno.
Di certo, nei conciliaboli nei corridoi del Nazareno in tanti sussurrano che «Enrico ha sbagliato a inchiodarci all’agenda Draghi». E ha sbagliato, naturalmente, a considerare finito il M5S. Tanti errori, troppi e ravvicinati, che stavolta rischiano di ammazzare il Pd.