La vittoria è certa, anche se non sarà possibile quantificarla in seggi fino al responso del voto nei collegi uninominali e la maggioranza al Senato potrebbe rivelarsi esigua. Il risultato di FdI, intorno al 26%, è più che brillante, nonostante forse un po’ meno di quanto le attese degli ultimissimi giorni avessero fatto intravedere. E allora com’è che dopo i primi trend poll ma anche dopo la più solida prima proiezione a destra tutto tace? Piovono complimenti e felicitazioni, non si sa quanto in questo momento graditi, dagli alleati in Europa, da Orbàn, protagonista suo malgrado di questa campagna elettorale, da Marine LePen, anche se l’amica italiana come modello la ha sostituita con Margaret Thatcher, prima o poi si farà sentire anche Mosca. Ma nella sede tricolore, che un simile affollamento di telecamere non solo italiane ma di mezzo mondo non l’aveva mai visto, a botta calda nessuno si affaccia per commentare un risultato che per quanto possa variare nelle ore resta nettissimo. Twitta solo Matteo Salvini, con poca tempestività: ringrazia gli elettori e non si capisce bene per cosa. Lo si capirà ancora meno quando la prima proiezione aprirà una finestra sul disastro: meno del 9%, tallonati da una Forza Italia in ripresa a solo mezzo punto di distanza: 8,80% contro 8,20%.

SILVIO BERLUSCONI, lui aveva esternato in anticipo, dal seggio e con lo stile disinvolto già dimostrato parlando di Putin e delle sue ottime intenzioni nella passeggiata ucraina. Ammette di avere «un po’ paura» di Giorgia Meloni, che dovrebbe incoronare premier nonostante i tremori. Ritiene di poter superare Salvini, «un altro che non ha mai lavorato in vita sua». Se confermate le proiezioni dicono che, contro ogni previsione, il Cavaliere ci è quasi riuscito.

I motivi non solo del cauto silenzio di Fratelli d’Italia e anche della velata preoccupazione che trapela e un po’ inquina la giustificata felicità sono tutti qui, in quei risultati degli alleati che prefigurano una montagna di problemi per la leader cinta d’alloro. Che ci sarebbero stati, però in misura meno estrema, Giorgia Meloni e il suo stato maggiore lo sapevano in anticipo e nelle scorse settimane, tra un comizio e l’altro, hanno tentato di mettere a punto un piano per disinnescare mine comunque minacciose.

LA SPINA LEGHISTA la vincitrice mira a renderla molto meno acuminata grazie a un accordo con gli azionisti di maggioranza del Carroccio, il partito del nord, i governatori, l’area di Giancarlo Giorgetti. Dovrebbero essere loro a tenere sotto strettissimo controllo il Capitano. Sempre che non si tratti di un ex capitano, eventualità che i dati della notte rendono sempre più credibile. Certo il patto avrebbe un prezzo e i boss tricolori, anche se al momento glissano, lo sanno perfettamente: l’autonomia differenziata. Per la Lega del nord non c’è altro che conti.

CON FORZA ITALIA le cose sono più difficili. Silvio Berlusconi, sempre che gli aleatori dati notturni siano suffragati dai voti reali, ha fatto l’ennesimo miracolo da campagna elettorale, portando un partito dato per morto a ridosso di un Carroccio in picchiata. Ma sono gli ultimi fuochi e gli azzurri lo sanno. La parabola di Arcore è vicina al tramonto, la necessità di trovare un riparo già urgentissima. Dunque bisognerà trattare se non con tutti almeno con molti, a partire da Berlusconi il cui prezzo è già noto. Per quanto pubblicamente si schermisca, fortissimamente vuole la presidenza del Senato. Negargliela sarà comunque difficile ma diventerà impossibile se i voti azzurri, al Senato, si riveleranno determinanti per la sorte di una maggioranza di destra. Il capogruppo Paolo Barelli usa toni mielosi nei confronti della leader, che «certo si è avvalsa di essere stata sempre all’opposizione». Però non dimentica di segnalare che Fi sarà indispensabile, e ancorerà la maggioranza all’Europa e alla Nato.

Ma non c’è solo Berlusconi e la formazione del governo sarà la prima prova del fuoco. La leader ha in mente la sua lista, e come approccio sembra volersi ispirare a un Draghi al quale è in realtà molto più vicina, nel metodo e nel merito, di quanto non appaia che al Silvio Berlusconi degli anni ruggenti. Però dovrà invece trattare, ministero per ministero, con gli alleati. Situazione non priva di aspetti paradossali. Forza Italia è di certo un partito in declino. Giorgia Meloni ha raggiunto in pochissimo tempo un risultato che appena due anni fa sarebbe stato letteralmente impensabile. Eppure le chiavi della maggioranza rischia di averle ancora in mano l’attempato sovrano di Arcore.

EPPURE C’È QUALCOSA di stridente in queste analisi tutto sommato consuete. La sensazione che sfugga la portata del terremoto storico che si è verificato ieri. Una forza orgogliosamente erede del Msi, cosa molto diversa da un partito fascista ma pur sempre la sola forza estranea al vecchio arco costituzionale, è oggi il partito di maggioranza relativa.