Riallestito e riaperto nelle sue tante parti, dal teatro alle gallerie, il museo enciclopedico dei Farnese completa a Parma il suo ciclo di rigenerazione iniziato sei anni fa
di Cristiana Campanini
Una linea di parole, come una linea del tempo. Time Past And Time Present Are Both Perhaps Present In Time Future. Si coglie di giorno, come la sera, a scandire un luogo titanico ed essenziale, perfino metafisico, nella sua griglia a mattoni rustici. Il monito, come un’altalena sul filo del tempo, è uno stralcio da T.S. Eliot, rivolto a chi entra al Complesso della Pilotta a Parma, dal cortile di San Pietro. È questa un’opera di Maurizio Nannucci, una scritta luminosa di neon blu. Inaugurata nel 2019, presagiva ciò che si sarebbe compiuto tra le sue mura (già in atto dal 2017): un processo di rinnovamento, rilettura e valorizzazione di «un museo enciclopedico», come lo definisce il suo direttore, Simone Verde, che ci accompagna guizzando come il custode amorevole di un tesoro ancora segreto. Ma la sua trasformazione è ora evidente nella (quasi) interezza. «Come un fossile della storia europea dei musei » , continua Verde. Già in prima linea al Louvre di Abu Dhabi, da sei anni si dedica a ricalibrare gli ingranaggi di questo labirinto di 40 mila metri quadri con i suoi molti primati, che affondano al secondo Cinquecento con il Ducato di Ottavio Farnese, al cuore dell’Illuminismo con Filippo I di Borbone fino a Maria Luisa d’Austria a prima metà Ottocento e oltre.
Il Museo Archeologico, dal 1760, è il più antico d’Italia. La Biblioteca Palatina è un modello d’istituzione culturale dal 1768, nell’elegante cornice disegnata dall’architetto francese Petitot. E poi la vastissima Galleria Nazionale e lo strepitoso Teatro Farnese, primo teatro moderno d’Occidente dal 1618, oltre al MuseoBodoni con l’officina tipografica settecentesca di un pioniere della stampa moderna. Sono ora 29 gli spazi riallestiti: sale, ma anche passerelle, luoghi interstiziali abbandonati per decenni ad aprire nuove visuali. E poi ancora due cortili e giardini. Appena svelate, sono la Galleria del Teatro (negli spazi finora dimenticati del Teatro Farnese), l’Ala Nord Alta e la Passerella Farnese con il Medagliere. Sono ben 60 le opere restaurate, tra cui molte mai esposte, nei depositi dagli anni Settanta. Più del doppio sono le cornici restaurate e ritrovate, accantonate da una museografia che nel secondo Novecento le considerava orpelli. Lo stesso poverismo riecheggia nell’allestimento del 1979, firmato da Guido Canali nell’essenzialità sospesa a una struttura di tubi dacantiere. Oggi si scalda nei cromatismi densi che evocano le sale originarie ottocentesche dell’architetto Nicola Bettoli e del pittore Paolo Toschi, come alcune delle sette nuove sale raccontano ( apice d’intensità quella dedicata al modenese Bartolomeo Schedoni, con il suo pathos luministico di primo Seicento scavato in una linearità modernissima). La messa in sicurezza delle opere è al centro, a partire dai pannelli per isolare dall’umidità dei muri. Anche l’illuminazione è ridisegnata, modulando i lucernari.
Questa cittadella del sapere e della storia riallaccia così ogni frammento in un percorso unitario. « È una lunga via di ricostruzione e di risarcimento filologico » . Ed è chiara fin dal grandioso scalone d’ingresso ( su modello della Escalera imperial all’Escorial). Una vetrina di pietre scheggiate dal Paleolitico disposte a firmamento; e una coppia di Leoni possenti del I secolo d.C., a loro guardia, aprono spiragli sul Museo Archeologico, di prossima apertura. Al piano nobile, si passa ai capitelli antelamici e al Teatro Farnese. Al fluire della storia, contribuiscono le nuove tecnologie. Dal boccascena, ogni mezz’ora, sorprende una lanterna magica di suoni e immagini proiettata ai profili lignei disadorni del teatro, ricostruiti a seguito dei bombardamenti.
Tra poesia e divulgazione, quel videomapping svela le scenografie dei suoi nove spettacoli, oltre a matrimoni e feste. Il percorso ci conduce poi alla Galleria Nazionale con le sue vette, dalla Scapiliata di Leonardo, in tutta la sua grazia sfuggente, alle grandi pale d’altare di Correggio. « Le sezioni, cronologiche e tematiche, tengono conto della storia delle collezioni. Un museo del XXI secolo che si rispetti, con la storia dell’arte, racconta le sue collezioni » . Si riunisce così quel che resta del nucleo fondativo di fine Seicento, la raccolta Farnese, con capolavori da El Greco, nei più spericolati tagli prospettici diLa guarigione del cieco nato; a Sebastiano Del Piombo con l’oscuro ritratto non finito su ruvida ardesia a Paolo III; e Parmigianino con l’eleganza civettuola della Schiava turca.« Un museo non è una raccolta dioggetti preziosi ma un laboratorio di ricerca che s’interroga su questioni universali attraverso collezioni e documenti. Rigenerare il patrimonio significa rinegoziare un’idea della storia, in continua trasformazione » , conclude Verde, citando Gustav Mahler. « La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri » .