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19 Gennaio 2024
Riccardo De Vito
Le preoccupazioni garantiste della maggioranza (e di parte dell’opposizione), assillanti quando a essere in discussione è la giustizia dei galantuomini, svaniscono di fronte al conflitto politico-sociale e a chi lo agita.
Le sirene d’allarme sull’eccedenza di risposta penale smettono di colpo di suonare; il carcere e l’inasprimento dell’armamentario punitivo tornano a essere un riparo rassicurante per le politiche di ordine pubblico. Gli ultimi a farne le spese sono gli attivisti ambientali: Ultima generazione, Fridays for future, Extinction rebellion.
Il disegno di legge approvato ieri in via definitiva dalla Camera – noto come «disegno di legge ecovandali» – è un campionario di scelte repressive: alle sanzioni penali già applicabili si aggiunge d’ora in poi il pagamento di multe fino a 40mila euro per chi «deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali ad un uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero ad un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico».
Alla reclusione fino a cinque anni per il danneggiamento aggravato viene a sommarsi una multa fino a 10mila euro. Il reato di imbrattamento o deturpamento di cui all’articolo 639 del codice penale subisce un’estensione delle ipotesi oggettive: sarà punibile anche chi imbratta le teche che proteggono le opere d’arte nei musei.E c’è un aumento della dose di pena, raddoppiata se i fatti vengono posti in essere in occasione di manifestazioni pubbliche.
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La curvatura ideologica e simbolica di questa nuova legge è evidente. Gli aggettivi elastici che colorano le condotte sanzionate («uso pregiudizievole», «uso incompatibile con il carattere storico o artistico») scolpiscono l’ennesima norma onnivora.
Non è un caso che nella relazione introduttiva si faccia riferimento a titolo di esempio, per spiegare l’efficacia deterrente delle nuove disposizioni, a condotte del tutto eterogenee accadute di recente: girare in scooter nel parco archeologico di Pompei, percorrere con la Maserati la scalinata di Trinità de’ Monti, e, infine, imbrattare con vernici (lavabili) la facciata del Senato o gettare carbone (vegetale) nella Fontana della Barcaccia in piazza di Spagna a Roma.
Chiaro, però, che i destinatari principali delle nuove sanzioni siano gli attivisti ambientali. Cartina di tornasole in questo senso è la nuova formulazione dell’articolo 639 del codice penale: deturpare o imbrattare costa una pena da uno a sei mesi di reclusione, ma se il fatto avviene in occasione di manifestazioni pubbliche la pena passa da sei mesi a un anno.
A parità di offensività, dunque, quello che fa la differenza è il contesto: se imbratti per protestare contro il silenzio politico sul cambiamento climatico paghi di più; l’azione dimostrativa per svegliare le coscienze – di alto valore sociale, come riconosciuto proprio ieri dal Tribunale di Bologna – per il legislatore diventa più riprovevole dell’azione vandalica. Viene il sospetto che le nuove disposizioni mirino a rafforzare il sonnambulismo dipinto dal Rapporto Censis 2023: «La società italiana sembra affetta da un sonnambulismo diffuso, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali, di lungo periodo, dagli effetti potenzialmente funesti».
Gli effetti funesti del cambiamento climatico in atto sono davanti agli occhi di tutti. Il territorio italiano è devastato da incendi e alluvioni, a breve 120 milioni di persone del Sud d’Europa dovranno fare i conti con la carenza idrica assoluta; entro il 2050 un miliardo e mezzo di persone sarà costretto a migrare per sfuggire alla devastazione del territorio dovuta alle gravi alterazioni del clima. Di fronte a tutto ciò le preoccupazioni del legislatore non sono le politiche delle industrie del fossile, ma le azioni di protesta degli ambientalisti. I quali, sia chiaro, sono consapevoli che le loro condotte costituiscono reati già punibili sulla base delle leggi attuali e, infatti, puniti anche dalla magistratura, come dimostra la sentenza del Tribunale di Bologna.
Come Emmeline Pankhurst, leader britannica del movimento delle suffragette, tuttavia, hanno le idee chiare sul significato dei loro atti di disobbedienza civile: non infrangere la legge, ma fare una legge migliore. Lì si trattava del voto alle donne, qui si tratta di salvare il pianeta di tutte e di tutti.