La chiameremo emergenza Cerchio Magico. È l’evenienza che prima fa prosperare le leadership italiane e poi le inchioda nel recinto di relazioni amicali e familiari ad alto rischio: gente che offre sostegno ma chiede pure tantissimo, che si prodiga ma poi pretende, che conosce segreti e quindi diventa ineludibile. Dopo l’ultima inchiesta su Denis Verdini e suo figlio Tommaso la domanda è ovvia: i due erano o no nel cerchio magico del loro quasi-genero e quasi-cognato Matteo Salvini? Millantavano le loro entrature col vertice leghista o ne avevano davvero? Possibili entrambe le versioni, ma non sarà certo la magistratura a dare risposte definitive a un interrogativo tutto politico.
Sta di fatto che l’emergenza Cerchio Magico evoca dolorosi déjà-vu a tutte le latitudini del Parlamento italiano ma soprattutto nella Lega. Il fondatore Umberto Bossi fu disarcionato proprio dagli impicci della sua corte, con massimo disonore, impotente davanti alle ramazze impugnate sul palco dai barbari di Roberto Maroni: un grande show simbolico contro il lordume affaristico di figli, figliocci, mogli, badanti e fedelissimi. Le cortesie di scambio di quella tavola rotonda, lauree facili pagate dal partito in Albania o spericolati acquisti di diamanti, inchiodarono il Senatùr all’imperdonabile accusa di aver ceduto alle lusinghe della romanità ladrona e di aver svenduto la celtica integrità degli esordi al familismo mediterraneo. Ci restò sotto, e di sicuro nel Carroccio nessuno ha dimenticato quelle orrende giornate.
Ma il «ti ricordi?» è pressante e velenoso pure sull’altro lato dell’affaire, quello dei Verdini, famiglia che risultò tangente a un altro potentissimo Cerchio Magico della nostra storia, il team Matteo Renzi, e anche lì: grandi onori ed enormi disavventure perché accordi politici e favori familiari diventarono scambi di informazioni strategiche, consulenze interessate, e alla fine qualcuno finì in galera, qualcuno no, tutti rimasero altamente screditati. Babbo Renzi, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, babbo Boschi, una commissione d’inchiesta sulle Banche, una sequela di inchieste e titoloni. Verdini si era avvicinato al club ai tempi del Patto del Nazareno e aveva scommesso sui suoi soci in nome della comune toscanità. Nelle interviste si scherniva, faceva un po’ il finto tonto: «Renzi è molto più giovane di me, aveva rapporti più con i miei figli». Sì, proprio loro, Tommaso e Francesca. Ah, la famiglia.
I cerchi magici sono l’anello protettivo dei leader, insomma, ma anche il loro tallone d’Achille, la “moglie di Cesare” che dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto e invece ne genera a catena. Il caso dei Verdini è esemplare. Sicuro, o quantomeno probabilissimo, che né Matteo Salvini né la fidanzata Francesca Verdini (che si occupa di cinema) sapessero nulla delle società del quasi-cognato, del ruolo che esercitava il quasi-suocero e delle modalità con cui i suoi attaché spendevano le relazioni con la Lega per assicurarsi clienti. E tuttavia è Francesca la moglie di Cesare che finisce, senza che nessuno la nomini, al centro della richiesta di informativa urgente avanzata dalle opposizioni sul sistema di appalti pubblici banditi da Anas. Ed è evidente che quando i soci di Tommaso Verdini si rallegrano al telefono per il ritorno degli inviti a cena («Ora con Salvini ministro ci richiamano tutti») facevano riferimento a lei, ai rapporti di familiarità generati dalla sua presenza accanto al Capitano, e ovviamente alle loro potenzialità.
Un bel guaio. Non lo dice solo l’opposizione ma lo dimostra la cautela del mondo leghista, che tra le molte linee difensive disponibili ha scelto quella di limitarsi al portato giudiziario dell’affaire e retrodatare la questione al 2022 (data a cui risale la denuncia che ha generato l’inchiesta) per dire: non ci riguarda, non dobbiamo spiegazioni. Tiepidi gli alleati. «Deciderà Salvini se riferire in Aula, noi restiamo garantisti» dice Forza Italia: il minimo sindacale. Da FdI silenzio fino a tarda sera. Solo prudenza? O un segnale di distanza da un vice-premier che da tredici mesi sembra giocare solo per se stesso?
In realtà, tutti nel Centrodestra sentono avvicinarsi una nuova emergenza Cerchio Magico. Se ne stanno alla larga perché hanno esperienza diretta del rischio che si corre quando padri, fratelli, mogli, compagne, amici del cuore, per i più diversi motivi finiscono sotto i riflettori. Di Bossi e Renzi si è detto. Silvio Berlusconi scontò le sue fidanzate usa-e-getta con l’inchiesta su Ruby (e una valanga di milioni). La vecchia destra ci rimise un leader importantissimo, Gianfranco Fini. E pure quella nuova ha dovuto pagare la sua libbra di dolore a un quasi-marito televisivamente intemperante. Le lezioni dovrebbero essere abbastanza e tuttavia i Cerchi Magici si disfano e si riproducono a ogni legislatura, nessuno ci rinuncia, tutti se li tengono stretti, fino al fatidico momento del «Chi me lo ha fatto fare?», che di solito arriva troppo tardi.