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Escono i manoscritti di etica del fondatore della scuola fenomenologica Sulla scia spiritualista di Brentano, ma con attenzione all’essere nel mondo con gli altri
I testi ci dicono che il pensatore non attese le suggestioni dell’allievo Heidegger per occuparsi della vita. Affiorano temi come la corporeità e le anomalie del reale che saranno ripresi da Foucault e Merleau-Ponty
Edmund Husserl, il filosofo viennese della prima metà del Novecento (compagno di studi universitari del suo concittadino Sigmund Freud), fondò la fenomenologia, corrente filosofica nel cui alveo Martin Heidegger, all’inizio degli anni Venti, propose una filosofia dell’esistenza che avrebbe cambiato per sempre il pensiero contemporaneo. Ma Husserl non volle mai pubblicare, in vita, quasi nessuno scritto di etica, anche se a tale tematica dedicò diversi manoscritti tra la fine dell’Ottocento e gli ultimi anni (morì nel 1938): alcuni di essi (editi in tedesco all’interno della rivista “Husserliana” tra il 2008 e il 2020) escono ora in prima traduzione italiana a cura di Angelo Parrella per Morcelliana ( Le emozioni e i valori, pagine 260, euro 26,00) e di Sonia Lisco per Mimesis ( Il mondo della vita. Analisi del mondo predato e della sua costituzione, pagine 108, euro 12,00).
Siamo adesso in grado di sapere, anche in Italia, che il fondatore della fenomenologia non dovette attendere le suggestioni provenienti dal suo allievo Heidegger verso la fine degli anni Venti per iniziare ad occuparsi più da vicino del tema della vita umana, dato che, già prima della Guerra del 1914-1918, sosteneva che l’emozione era un contenuto fondamentale dell’assiologia: che, cioè, fosse impossibile essere coscienti di un valore senza emozionarsi e finanche provare piacere. Si trattava, ovviamente, di un’emozione e di un piacere non sensibili, ai quali corrispondevano un’emozione e un dispiacere per il disvalore: e anche questi ultimi non sensibili, dato che il fondatore della fenomenologia non si allontanava dall’impostazione “spiritualistica” che aveva dato alla sua scuola nel momento in cui l’aveva fondata ai primi del secolo. Uno spiritualismo di sapore cartesiano, che si caratterizzava per quel sospetto verso il corporeo, che Husserl aveva appreso alla scuola del sacerdote cattolico di origine italiana Franz Brentano: le cui lezioni di filosofia all’Università di Vienna erano risultate fondamentali (negli anni Ottanta dell’Ottocento) non solo per lui, ma anche per Freud. Se dunque fenomenologia e psicoanalisi erano nate dalla scuola di Brentano, nella Vienna imperiale tardo ottocentesca, Husserl e la fenomenologia avrebbero pensato a portare avanti in modo esplicitamente filosofico l’insegnamento di Brentano nelle università dove Husserl, dopo essersi formato a Vienna, andò a insegnare: in particolare Friburgo in Brisgovia, sede definitiva dal 1916, dove ebbe come assistente Heidegger.
Il fondatore della fenomenologia partiva dunque dalla nozione brentaniana dei vissuti emotivi intenzionali: nei quali vedeva quelle emozioni che consistono non solo e non tanto in un generico sentire qualcosa, quanto in un sentimento verso qualcosa di esterno al vissuto del soggetto, come l’amore verso qualcuno o la percezione di qualcosa di bello. Accanto ai vissuti emotivi intenzionali, esistevano, a giudizio di Husserl, anche quelli non intenzionali, non presi da Brentano e che consistono in tutte quelle emozioni provocate non da qualcosa di esterno al soggetto, ma da qualcosa di interno, come la depressione, il dolore fisico, la fame o il semplice stato d’animo: non alieni però, nemmeno questi, dall’intenzionalità brentaniana, in quanto (almeno per lo stato d’animo) risultava difficile, per Husserl, affermare di essere in uno stato d’animo sereno senza considerare magnifico il mondo attraverso un atto intenzionale.
Parlare della relazione tra emozione e valore significava, infine, riflettere su quel mondo della vita ( Lebenswelt) che sarebbe stato al centro della husserliana Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale del 1936, ma che veniva descritto in modo più esaustivo proprio in alcuni dei manoscritti degli anni Trenta. Il mondo della vita era, per Husserl, un atteggiamento spirituale naturale, attraverso cui l’uomo risultava capace di guardare il mondo così come esso appariva nella sua immediatezza e quindi non ancora ridotto, tramite il vaglio del dubbio ( epochè), ai soli aspetti certi: non un atteggiamento solipsistico, quanto piuttosto la consapevolezza di essere con gli altri e per gli altri all’interno di una realtà fatta anche di anomalie.
Questa apertura al mondo consentiva a Husserl di mettere a tema, attraverso il concetto di anomalia, anche la questione della normalità: anticipando le riflessioni che Michel Foucault avrebbe proposto a partire dagli anni Sessanta, il fondatore della fenomenologia sosteneva che l’anomalia poteva rientrare nella normalità, in termini di deviazione o incoerenza rispetto alla prassi adottata dalla maggioranza, e che era quindi in grado di generare un nuovo livello di normalità.
Il presupposto indispensabile per poter concepirsi non da soli, ma assieme agli altri era, per Husserl, riconoscersi come avente un corpo e di essere corpo tra i corpi: una tematica, quella del corpo, che gli consentiva di inserirsi all’interno del fronte filosofico della rinascita antropologica novecentesca, avente il suo perno nella centralità del mondo-ambiente, cioè in una accezione di mondo, secondo la quale esso viene inteso non semplicemente come natura fisica, ma anche come ambiente dell’uomo e per l’uomo.
Inoltre, continuava Husserl, come l’ambiente è non solo fisico, ma anche umano, così anche il corpo umano stesso è non solo fisico, ma anche vissuto. A differenza di quanto avvenuto per il concetto di emozione, nel delineare questa accezione di corpo nei manoscritti degli anni Trenta, egli veniva influenzato molto probabilmente dalle suggestioni dell’allievo Heidegger (in quegli anni ormai professore all’Università di Friburgo e già autore di
Essere e Tempo): ma anticipava, nello stesso tempo, anche la riflessione degli anni Quaranta del francese Maurice Merleau-Ponty, considerato l’apripista novecentesco della tematica del corpo vissuto, ma sul quale siamo adesso in grado di sapere, grazie a questi scritti husserliani, che contrasse un debito col fondatore della fenomenologia.