Sotto a chi tocca. È da tre settimane che ogni giorno uno svalvolato fa saltare in aria le istituzioni che rappresenta. La Russa “contro” Mattarella, del quale fa il vice, è il caso più eversivo, ma l’agenda degli strafatti trabocca di un irrefrenabile revanscismo sempre più spericolato. La Russa lo incarna e lo riassume, ma con lui c’è il sottosegretario farmacista, Marcello Gemmato, che sbrocca contro la scienza dei vaccini e tutti ne chiedono le dimissioni, tranne i soli che dovrebbero: i farmacisti. E il ministro della Difesa Guido Crosetto, nel solito fuorionda che va in onda, dà del “cretino” a Giuseppe Conte. Intanto il Gennaro Sangiuliano della Cultura, che nella Rai malviveva, impettito nell’idealismo gentiliano svillaneggia la Rai perché trascura, nientemeno, Pirandello (che era fascista).
Le quotidiane vampe di revanscismo sono i soffioni del sottosuolo, la rivincita selvaggia, ben più viva e pericolosa del tempietto fascista con bassorilievo e medaglie, foto e statue del Duce, roba innocua da goliardia nera, da feticismo in orbace. Il presidente del Senato “tiene” bene l’aula, ma non si tiene dinanzi alla vendetta e trattiene male il ghigno come il fratello Romano trattiene male il braccio ai funerali degli ex camerati. La Russa “si accende e non ragiona” come lo zio fascista cantato da Gaber e fa rimpiangere persino la presidente Casellati che sapeva tacere. Ma c’è di più. La Russa cambia anche in viso. E infatti non somigliava più alla macchietta del fascismo rasposo, gli occhi avevano smesso di dardeggiare e pure la barbetta si era come ritirata e la voce si era fatta meno roca: quando Ignazio ha corretto Mattarella, che si era speso con Macron per ricucire, quando ha detto “la fermezza del governo va condivisa” è sparita la macchietta ed è venuta fuori la sua vera fisionomia da revanscista, vedremo quanto incompatibile con la carica che ricopre.
Non sono recite da parrocchietta buone per parodie facili facili “il carico residuale” di Piantedosi e poi la campagna di Francia e la contromossa dell’ alleanza con la Grecia, Cipro e Malta. Dalla foto sul treno per Kiev di Mario Draghi con il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz siamo passati all’Asse con gli sfigati per “difendere i confini” e rispettare le regole che Salvini riassume così: “Se c’è una nave norvegese si fa un colpo di telefono in Norvegia, se c’è una nave tedesca si fa un colpo di telefono a Berlino”. E in questo teatro a Bali Giorgia Meloni è arrivata con la piccola Ginevra, Mamma Roma al G20 perché l’Italia è “dura”, ma è pur sempre la patria del melodramma.
La politica italiana ha avuto grandi donne protagoniste, autorevoli e competenti, che però si castigavano per somigliare agli uomini, Iotti, Anselmi, Merlin… Poi, da Prestigiacomo sino a Boschi, c’è stato il trionfodella ministra giovane e bella, telegenica, non si sa quanto preparata, approvata dal gusto del capo, Berlusconi prima e Renzi dopo. E ora c’è Giorgia Meloni con le unghie retrattili, la candida malandrina che si è fatta strada a gomitate, un vetro che se la tocchi stride, con la sindrome di accerchiamento, aggressiva e aggredita, il vittimismo come alimento del revanscismo degli svalvolati, che ogni giorno svelano caratteri e promettono più sapide sorprese, come sempre accade con gli scarti rivelatori della verità. E così un altro sottosegretario di Fratelli d’Italia, Alessio Butti, ha improvvisamente contestato i tempi del Pnrr, ha denunciato il governo Draghi e ha definito Vittorio Colao “imbarazzante”, mentre di nuovo Crosetto, il liberale punk, si è inventato che le navi Ong sono “centri sociali galleggianti”, come Il bordello galleggiante (Garzanti 2001) che è il bellissimo libro della storica oxfordiana Siân Rees sul viaggio nel 1789 di una nave caricadi migranti donne, dalle prigioni di Londra verro Botan Bay e la futura Sidney, 237 detenute, ladre, prostitute e vagabonde mandate a popolare l’Australia. Contro i bordelli galleggianti, il sottosegretario Giovambattista Fazzolari, che ieri ha stretto la mano a Biden intimidito più di Fanfani che almeno recitò un sorriso quando la strinse a Kennedy, ha annunciato che presto il Viminale imporrà «nuovi decreti sicurezza» perché, ha spiegato Fazzolari, «basta, ora si cambi impostazione». E «Giorgia Meloni – ha detto – è il cigno nero», l’evento improvviso, lo tsunami del libro di Nassim Taleb, che già fu evocato da Paolo Savona, l’autore della trilogia dell’ Incerto , che oltre la previsione dell’imprevedibile predica il consapevole mettersi in gioco, il giocarsi la pelle, Skin in the game , insieme a quella di tutti gli italiani. Uno dei capitoli si intitola: “Puoi essere un intellettuale, ma restare un idiota”. Un altro: “Guardati dalle soluzioni complicate (c’è chi è pagato per inventarle)”.
È questo il laboratorio del revanscismo italiano, non “Ballando con le stelle della Decima Mas” e neppure la Dux srl che, nelle amatissime Marche produce spettacoli im-per-di-bi-li, sovvenzionati dalla Regione del fedelissimo Acquaroli.
Sembra che sia passato un secolo dalla noiosa sobrietà dell’agenda Draghi, ed è certo che per noi giornalisti è molto più divertente raccontare gli svalvolati che deformano e sporcano gli abiti da classe dirigente, che non riescono a indossare. Per noi, dicevo, sono il gran ballo della “sproporzione”, anche se Calderoli non è più quello che “sbuffa, ansa e i fiammei occhi sbarra”, il mostro biassiale della legge elettorale “porcata” e delle magliette anti-islamiche, e i Fratelli d’Italia non sono più Predappio e stivaloni neri. Ma il revanscismo è rabbia repressa, è una pentola che ogni giorno vomita qualcosa, è il rancore di un’eterna minoranza, la sindrome del siamo soli al mondo, siamo soli contro il mondo. Il revanscismo è il cognato Francesco Lollobrigida che già il primo giorno promise di cambiare la Costituzione. Revanscismo è Piantedosi-Salvini e revanscismo sono le botte agli studenti della Sapienza e i sei anni di galera agli sballati del rave party raccontati come i sabba, come le messe nere dei giovani di sinistra.
Ebbene, solo La Russa dà ordine al disordine degli svalvolati. Perché la presidenza del Senato pretende una crescita e richiede una gavetta che La Russa ha fatto, e per le procedure che non conosce e le competenze che non ha acquisito ci sono i funzionari che tutelano la testa di tutti i presidenti. Ma ora sappiamo che gli manca la continenza politica e che non controlla la sua antropologia di vecchio arrabbiato. È in grado di sostituire Mattarella? Ricorda quella funzione di “vicedirettore vicario” che nelle vecchie redazioni dei giornali si mutava in “vicedirettore sicario”. Vedremo come l’Italia saprà attrezzarsi al revanscismo e come il Quirinale reagirà sul campo, perché, come dice il proverbio, è lo stesso morto che insegna a piangere.