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27 Luglio 2022Lunga fila di ambulanze alle Scotte, la denuncia del dg. Cgil attacca su low care e infermieri a domicilio
Giulio Gori, Aldo Tani
La fila di ambulanze è l’immagine di un ospedale ostaggio del caos che si è generato in questi giorni per un afflusso straordinario (170 accessi al giorno) al pronto soccorso del policlinico Le Scotte a Siena, con conseguenti ore di attesa per i pazienti. Anziani, per lo più, che secondo il direttore generale Antonio Barretta, «richiederebbero una risposta alternativa», in quanto pazienti cronici. «Inoltre — ha proseguito — alcuni di questi pazienti anziani provengono da residenze sanitarie dove sarebbe utile ricevere l’intervento medico sul posto per una risposta assistenziale più adeguata, anziché inviare, come accade in questo periodo, i pazienti in ospedale».
Il cortocircuito riguarda anche i rapporti istituzionali. «La situazione generatasi al pronto soccorso è inaccettabile», ha attaccato il sindaco Luigi De Mossi, che poi ha apostrofato il comportamento di Regione e Azienda ospedaliero universitaria: «La Regione batta un colpo e l’Aous affronti i problemi senza cercare scuse. È ovvio che si tratta di fenomeni complessi, è chiaro che ci sono difficoltà strutturali. Ma la risposta dei vertici non può essere: cittadini, pensateci bene prima di venire in pronto soccorso. Siena non lo può accettare». La replica di Barretta non si è fatta attendere: «Ho più volte cercato invano il sindaco per aggiornarlo della situazione, auspico che la comunicazione fra le nostre istituzioni si riattivi presto poiché alcune criticità potrebbero essere superate anche grazie al suo sostegno».
Il caso della lunga fila di ambulanze davanti al pronto soccorso delle Scotte è solo la spia di un problema più generale del sistema sanitario toscano. Con gran parte delle risorse concentrate sulla lotta al Covid e sul recupero delle liste d’attesa delle discipline non Covid, il «territorio» continua a ricevere investimenti non adeguati. Col risultato che a pagarne le spese sono proprio gli ospedali e in particolare i pronto soccorso, che straboccano di pazienti, anche non gravi, che non vengono trattati a casa o nelle cure intermedie.
Secondo i dati di Fp Cgil Firenze, a essere carente è anzitutto la figura dell’infermiere a domicilio, estremamente importante per trattare gli anziani a casa ed evitarne il ricovero in caso di riacutizzazione di una patologia cronica. Nell’Asl Centro (Firenze, Prato, Pistoia), secondo il sindacato ce ne sono 470. Sono quasi 50 in meno di quelli necessari a raggiungere gli standard indicati dal ministero della Salute, che ne chiede uno ogni 3 mila abitanti. Non solo, ma l’infermiere a domicilio ora si deve occupare anche della somministrazione casa per casa delle cure palliative, una funzione prima assegnata a 16 infermieri nell’Asl Centro. Non è stata inoltre attivata — malgrado fosse stata deliberata nel 2020, subito prima della pandemia — la squadra per le prestazioni urgenti a domicilio, altri 60 infermieri, che dovevano affiancare le guardie mediche. Infine, le Acot (agenzia di continuità ospedale territorio), che si occupano di prendersi cura di anziani e fragili dimessi dagli ospedali perché non si riaggravino, sono sotto organico e mancano di una dozzina di infermieri. Nel complesso, secondo i calcoli di Fp Cgil, mancherebbero nell’Asl Centro, quasi 140 infermieri sul territorio.
Nel territorio della Centro, c’è stata inoltre una forte contrazione delle cure intermedie. La scorsa primavera, con la riduzione dei numeri del Covid — malgrado il proposito della Regione di puntare su questi ospedali a bassa intensità come modello futuro per la gestione degli anziani cronici — avevano chiuso i battenti i centri dell’ex Creaf di Prato, di Villa Donatello e di San Miniato, mentre al Ceppo di Pistoia erano stati ridotti. Da allora, l’azienda sanitaria ha dato notizia, con l’arrivo dell’ondata da Omicron 5, dell’attivazione di alcuni letti di cure intermedie Covid a Villa Le Terme di Impruneta. Mentre il reparto low care all’ospedale di Camerata, pronto ormai da quasi due mesi, è ancora chiuso. Lo dice il sindacalista Cgil, Simone Baldacci («Ci sono 12 letti pronti, ma ancora vuoti»), lo ha confermato ieri il personale dell’ospedale.
Così, Fp Cgil, di fronte ai limiti della sanità territoriale, va alla carica: «L’obiettivo della riforma di un infermiere domiciliare ogni 3mila abitanti è ancora un miraggio. È una figura la cui importanza è divenuta strategica con l’arrivo della pandemia e la necessità di prendere in carico tutta la rete dei soggetti contagiati dal Covid», dice Baldacci. Così, dopo una riunione che gli infermieri territoriali hanno tenuto lunedì scorso, ieri il sindacato, minacciando una mobilitazione, ha avanzato le richieste all’azienda. Con una lunga lista che parte dall’aumento degli organici, passa per il miglioramento delle dotazioni e arriva fino a chiedere l’attivazione di «un servizio infermieristico ambulatoriale 7 giorni su 7».
Sul fronte del Consiglio regionale, il Pd, con Andrea Vannucci, di fronte al progetto della giunta di rimodulare (e ridurre) i medici di guardia, ha avanzato invece ieri la richiesta di istituire la medicina di guardia pediatrica.
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