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Il record del siciliano Tamajo. Per Tarfusser basta Cuno
Roma Ovvio, gli agenti segreti. E quelli per forza devono avere un nome in codice, da 007 a Johnny English. Il web, con i suoi nomi finti, i nickname buoni per tirare il sasso senza farsi beccare. La versione nobile, i partigiani, con Onorina Brambilla che ricordava come gli uomini scegliessero nomi di fantasia, Falco, o Lupo, mentre le donne cambiavano più tranquillamente, se una si fosse chiamata Luisa avrebbe scelto ad esempio di chiamarsi Franca, come nome di battaglia. E infatti Onorina divenne Sandra, mentre il suo compagno, Giovanni Pesce, diventò Visone. Ma adesso un altro «Alias» si affaccia prepotente sulla scena, ed è il candidato alle elezioni europee. Accidenti quanti sono quelli conosciuti dalla gente con un nome che non è quello scritto sul certificato di battesimo o sulla carta di identità e sulle bollette.
A guardare le liste di tutte le circoscrizioni e di tutti i partiti, che nessuno fa eccezione, gli alias sono almeno cinquanta. Si va da Massimiliano Giammusso detto Massi detto Musso, che pare uno scioglilingua, così come Giuliana Fiertler detta Firtler, detta Filter, fino all’imbattuto Edmondo Tamajo, detto Tamaio, detto Di Maio, detto Edy, detto Edi e detto Eddy. Alessandro Cecchi Paone è detto Cecchi e pure Pavone, spiega lui medesimo a Un giorno da pecora: «Tanti pensano che io sia parente di Rita Pavone», sì, quella del ballo del mattone. Per alcuni è questione di sopravvivenza, di fronte alle insidie dello spelling, come Muharem Saljihu, detto Marco, o Suad Omar Sheik Esahaq detta Su.
Insomma, regola vorrebbe che gli scrutatori debbano far prevalere la chiara volontà dell’elettore, di fronte a qualche piccolo errore di scrittura. Ma esperienza insegna che tanti seggi restano aperti fino a notte fonda per duelli sulla lana caprina, e quindi è meglio non rischiare, si dicono in tanti. E poi certo, la zampata di Giorgia Meloni che ha scelto il detta Giorgia sulla scheda ha dato il segnale del rompete le righe, come quando suona la campanella. Scontato che Letizia Maria Brichetto Arnaboldi abbia scelto di semplificare in Letizia Moratti. Ed Elena Ethel Schlein ci tiene a far sapere che il «detta Elly» lo usa ormai dalla notte dei tempi. Curiosa la vicenda di Edmondo Tamajo, che tra i suoi alias ha pure Di Maio. «Lui è di Mondello e da un po’ se la deve vedere con le insidie dell’assonanza. Lo fermano per la strada, che di faccia lo conoscono bene, e gli dicono: onorevole Di Maio, come sta? E come se non bastasse non sono mancate schede, alle elezioni regionali siciliane, dove accanto al simbolo di Forza Italia c’era la preferenza data proprio a Di Maio».
E poi ci sono pure Margherita La Rocca, detta Rita, Rossella Chiusaroli, detta Ros, Piergiacomo Sibiano, detto Piga, Antonio Cenini, detto Cenno, Tiziana Pepe Esposito, detta Pepe, Paul Kollensperger, detto Paul, Kateryna Shmorhav, detta Katya. Nicola Campanile, tanto per pescarne uno che incuriosisce, è detto Per. Arcano presto svelato, Per è l’associazione da lui cofondata e della quale è presidente, e vince la paperella dell’originalità. Certo non è facile vedersela con Sergio De Caprio, che sfida Tamajo con il suo detto Capitano Ultimo, detto Capitano, detto Ultimo. E con Salvatore Deidda, detto Sasso. O con Mariapia Abbracchio, detta Mapy.
Cuno Jakob Tarfusser, sì quello che si è dato da fare per riaprire il processo a Olindo e Rosa, è detto Cuno. Alessandrina Lonardo Mastella semplifica in Sandra Mastella. Domenico Lucano punta su Mimmo. Fulvio Martusciello, che magari un po’ si ispira, è detto Fulvio. E poi Gerardo Stefanelli, che è detto Stefano. Raffaella Paita è detta Lella e Catarina Avanza è detta Caterina detta Cate.
Non ce ne vogliano quelli che magari sono rimasti fuori dallo sterminato elenco. Chissà, magari sarebbe più semplice, per il futuro, che chi capisce che la sua vita sarà dedicata alla politica, a cominciare ad esempio all’elezione del capoclasse, si scegliesse un bel nome semplice e chiaro, facile da scrivere senza incappare in svarioni. Del resto, una volta cambiare il nome all’anagrafe era quasi impossibile, se non impossibile proprio. Ora, dopo la battaglia di Giovanni Morte, tutto è molto più facile, basta più o meno fare domanda. Sudò sette camicie Giovanni Morte per cambiare quel nome che, comprensibilmente, lo metteva a disagio. Anni e anni di ricorsi e controricorsi. Ma alla fine la spuntò, per sé e per tutti. Adesso è felice, si chiama Filippo.