Domenico Quirico
Un modesto consiglio: a Damasco liberata in un attimo da Bashar Assad evitate di esser ottimisti. È l’abc di tutti i movimenti totalitari quando conquistano il Palazzo: sorrisi fiori nei fucili siamo tutti fratelli ora che il despota è sparito perdono per tutti… E poi campi larghi anzi larghissimi, coalizioni, moderatismi, chissà, perché no? Prima o poi elezioni… Adesso che non c’è più Lui… Qualcuno dei capi supremi addirittura si sbilancia, promette: basta kalashnikov ora che vi ho liberati torno a fare lo studente, l’operaio, il contadino… Non amo il potere, ho tanti progetti prendiamoci il futuro…
L’emiro è diventato anche un mago, un illusionista sulla scena del grande music hall del jihad. Vittorioso lavora a sedurre, a rassicurare. Affascina perfino i vinti che avrebbero molte ragioni per aver paura e temerne castighi. Perché hanno purtroppo un passato che i nuovi padroni conoscono. Ci sono i testimoni, le carte del regime defunto sono lì, da consultare: notabili e gregari, protagonisti e collaboratori. Non dovrebbero dimenticare, costoro, in queste ore confuse, che vittime tutti possiamo diventarlo.
Si perde tempo a cercare di dare consistenza al pulviscolo di sigle della coalizione vittoriosa: si cercano facce moderate, gente che non ha scritto sulla carta di identità Al-Qaeda, Isis. Si spera, chissà perché, nelle milizie che la Turchia ha arruolato tra i tagliagole dei bassifondi turcofoni dell’Asia centrale.
Invece è solo il momento della educazione sentimentale del potere: i fanatici violenti e meticolosi debuttano sempre con i gradualismo pacifico e indolore. Baciano la terra, vanno in moschea (quella dei califfi) incontrano persino i vescovi cristiani. Poi uno schiocco di dita nella Storia. Scusate fermiamo tutto, ricominciamo, dobbiamo fare tabula rasa. Dopo cinquanta anni di dittatura di eretici e miscredenti la rivoluzione deve diventare perfetta come un esperimento di laboratorio. La saudade islamista sparisce allora dalle facce. Si fa sul serio. Ma Erdogan? Non era lui che dettava la linea?
Avete dimenticato, per esempio, Pol Pot e la Cambogia, gli inizi? I discepoli del Numero uno in pigiami neri che entrano quatti nella capitale, ordini gentili, in fondo quasi amichevoli, dei consigli si direbbe forniti con gli altoparlanti: vi spostiamo in campagna nessuna paura non portate niente con voi è tutto predisposto. E poi … Poi il centro di tortura di Tuol Sleng, i muscoli aperti a colpi di cesoia , le scintille dei fili elettrici, la puzza di escrementi, la carne bruciata. E le risaie che diventano immensi cimiteri, una fabbrica di cadaveri. E l’Iran del dopo scià? Tutti fratelli viva Klomeini e subentrarono i plotoni di esecuzione e il buio degli ayatollah. E i taleban a Doha? Le loro promesse di carta? Non dimentichiamo cosa sono stati gli anni della guerra civile in Siria, i massacri, i centri di tortura. Davvero basta una intervista e una circolare alle truppe perché non venga il momento di saldare i conti al rovescio? E non c’è stata forse una brutale lotta di classe in cui alauiti e clan del regime hanno preso tutto ai “traditori”, ai “ribelli”. E adesso che le parti sono invertite?
Il primo ministro di Bashar, Al Jialali, ecco parliamone un attimo: esempio di un ottimista per necessità o di modesta furbizia di voltagabbana. È rimasto, annuncia, a casa sua ad aspettare i liberatori: sono al servizio della nazione, anche la vostra. Forse ha letto Tolstoj, lo sfortunato ultimo premier baatista: non resistere al male. Nobile e generoso proposito. Pericoloso quando confidi in professionisti della guerra santa. Al-Joulani gli ha offerto al mattino una poltrona: guidare la transizione alla sharia democratica. Il pomeriggio correvano voci, poi smentite, che lo avessero arrestato. Si vedrà.
Non si sa mai quando il male germogli in quelle anime diventate così moderate e ragionevoli. Dietro le barbe e gli occhi mansueti nascondono i soliti tetri pensieri, gli estremismi bonificatori rinascono all’improvviso nei cuori come puri gigli. Con gli islamisti non ci può essere nessuna Nep leninista; questa è gente che teologicamente non si può battere per la libertà ma solo per la purezza e il potere.
Quelli che hanno conquistato Damasco sono la ennesima incarnazione degli Incorruttibili, educati a non farsi sviare né dal denaro né dalla vanità né dal successo. Che cosa pretendete da Al-Joulani, che trasformi i reduci dell’Isis, gli uzbechi e i ceceni, in gentlemen della democrazia parlamentare, che li converta dal Corano totalitario ai libri di Voltaire? Ogni anno della loro vita è segnato dalla violenza e dalla guerra con la grandezza della fatalità, la vittoria di oggi non è un azzardo ben riuscito, o una strategia efficace: è il dono di Dio.
Molti dicono: spesso i capi rivoluzionari dopo l’effervescenza diventano burocratici e lenti, amministrativi cavillosi, adorano le scartoffie e non più il mitra.
Ve lo immaginate Al-Joulani, l’unico che comanda la coalizione di microcosmi salafiti e trinceristi della sharia, che con i suoi occhi terribili, le mani che sanno far cantare un kalashnikov, seduto a un tavolo ingombro di carte, pallido, in cravatta, gli occhi opachi, le spalle curve che cerca di mettere ordine in una coalizione ministeriale litigiosa che riduce il paradiso a problemi di cifre, statistiche, paragrafi, aggettivi che mettano tutti d’accordo?
Gli islamisti non sono gli eredi delle rivoluzioni laiche, sono i figli perfetti della dittatura che hanno rovesciato, ne hanno assorbito violenza e intolleranza come dottrina unica. La loro forza è nel fanatismo dottrinario. Altrimenti come avrebbero resistito negli anni duri di Idlib quando una epoca favorevole di disattenzioni globali sembrava un miracolo improbabile?