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Migliaia di persone hanno partecipato ieri a Nanterre alla «marcia bianca» in ricordo di Nahel, il ragazzo di 17 anni ucciso da un poliziotto martedì. Un corteo voluto dalla madre del giovane di origine algerina, anche per denunciare le violenze della polizia, altri casi in cui non c’era un video per contraddire la versione menzognera degli agenti.
Un chilometro di percorso fino alla prefettura degli Hauts-de-Seine, con la presenza di politici della Nupes, persone con t-shirt bianchi, per chiedere «giustizia per Nahel», manifestazione iniziata nella calma e poi tramutatasi in scontri vicino alla place Nelson Mandela, dove ci sono immobili di uffici (Nanterre è alle porte di Parigi, dalla piazza del corteo si vede l’Arche della Défense), con lacrimogeni, cariche della polizia, interventi di pompieri per spegnere inizi di incendi di pattumiere.
La «gestione» delle tensioni di Nanterre fa prevedere un’altra notte di fuoco: ieri sera il ministro degli interni, Gérald Darmanin, ha moltiplicato per quattro il numero di agenti rispetto alla vigilia, ha dispiegato 40mila poliziotti e gendarmi nelle zone più a rischio in tutta la Francia, 5mila solo nella regione parigina, con tram e autobus fermi dalle ore 21. Anche a Lille stop ai trasporti pubblici dalle 20, a Clermont-Ferrand dalle 22.
Ma per il momento, il governo non cede alla richiesta sempre più pressante di destra e estrema destra: dichiarare lo stato d’emergenza, come era successo nel 2005 dopo giorni di rivolta delle banlieues. A Clamart è stato però imposto il coprifuoco fino al 3 luglio, dalle 21 alle 6.
Il poliziotto che ha ucciso Nahel è stato ieri incriminato per omicidio volontario e messo in detenzione preventiva: per il procuratore Pascal Prache, non c’erano «le condizioni legali per l’uso di un’arma da fuoco». Il secondo agente presente al momento dei fatti non è al momento inquisito, mentre la famiglia di Nahel ha sporto denuncia.
Già la notte precedente era stata teatro della protesta dei giovani delle banlieues e non solo: Romaniville, Asnières, Clamart, Villejuifs e altre cittadine di banlieue parigina, ma anche in tutto il paese, Rouen, Alençon, Brest, Le Havre, Lille, Evreux, Tours, anche quartieri benestanti coinvolti, le periferie di Lione e Tolosa, con 2.400 incendi, edifici pubblici, municipi, commissariati, decine di auto, una cinquantina di edifici scolastici. Complessivamente, la polizia ha compiuto nella notte tra mercoledì e giovedì 180 fermi. Secondo il governo, sono stati 170 i poliziotti feriti.
Ieri mattina, c’è stata la riunione al ministero degli interni di una cellula di crisi a cui ha partecipato anche Macron, prima di partire per il Consiglio europeo a Bruxelles. Dopo le parole di comprensione della vigilia, ieri ha parlato di «scene ingiustificabili». «Capisco l’emozione, ma non giustifica le violenze», ha affermato la prima ministra, Elisabeth Borne, che ha annullato una visita in Vandea per recarsi a Garges-lès-Gonesse, nella regione parigina, dove è stato bruciato il municipio.
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Morti per «refus d’obtempérer» alla polizia triplicati dal 2017Darmanin, che si è recato a Mons-en-Baroeul nel Nord, ha parlato di «violenze insopportabili» e ha attaccato i politici che giustificano la violenza. Come il ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, che attacca la Nupes: «Tutti coloro che sputano sulla polizia e la giustizia sono complici morali di ciò che sta succedendo».
Il governo, al contrario, opta per la risposta muscolare: droni, poliziotti, difesa degli edifici pubblici. La destra e l’estrema destra chiedono lo stato d’emergenza, Laurent Wauquiez, presidente della regione Rhône-Alpes e probabile candidato alle presidenziali del 2027, pretende che non ci sia «una terza notte» di disordini.
Per la sinistra, c’è una forte domanda di giustizia e la risposta deve essere politica, tanto per cominciare con l’abrogazione della legge del 2017 che amplia la possibilità del ricorso alle armi da fuoco da parte dei poliziotti (la France Insoumise ha presentato una legge in questo senso). Per l’ex primo ministro Ps e ministro degli interni, Bernard Cazeneuve, la legge del 2017 «non è un permesso di uccidere».