La svolta laburista del M5s dietro alle schermaglie tattiche
8 Luglio 2022Il nuovo disordine mondiale
8 Luglio 2022
di Ernesto Galli della Loggia
Con Putin è un po’ come con Hitler. Come in mille occasioni, a partire dal Mein Kampf (1925), il Führer non si stancò di dire ai quattro venti e di far capire chi era e quello che intendeva combinare — senza che però in Occidente molti lo prendessero sul serio —, allo stesso modo in questi anni Putin si è profuso in decine di discorsi circa i suoi sfrenati progetti nazional-imperialistici senza che però nessuno di noi (o quasi) gli prestasse troppa attenzione. Forse perché molti di quei discorsi riguardavano il passato, erano discorsi storici. Avevamo dimenticato che nel nostro tempo la storia (la sua manipolazione) è lo strumento preferito dai dittatori per affermare la propria visione del mondo e avvalorare le proprie malefatte. Soprattutto per giustificare i propri propositi aggressivi. E infatti, leggendo oggi i numerosi brani di tali discorsi contenuti in un breve saggio appena pubblicato da un eminente storico slavista francese, Nicolas Werth (Poutine historien en chef, Gallimard), ci accorgiamo che tutti i conti tornano.
Convinto fin dall’inizio della sua carriera politica che «la principale risorsa della potenza e dell’avvenire della Russia risiede nella nostra memoria storica» e che «per far rinascere la nostra identità nazionale, la nostra coscienza nazionale, dobbiamo ristabilire i legami tra le diverse epoche di una sola storia, ininterrotta, millenaria», Putin si è dedicato appassionatamente a rimodellare tale storia con sovrano disprezzo della verità.
Il suo principale obiettivo è stato innanzitutto quello di «decomunistizzare» per così dire l’esperienza sovietica, riducendo l’Ottobre a un incidente della storia, opera a suo dire di un pugno di criminali privi di veri legami con il Paese e per giunta responsabili soprattutto di aver firmato nel ’18 la pace di Brest-Litovsk con la Germania guglielmina. Cosicché «il nostro Paese si è dichiarato sconfitto nei confronti di un Paese che lui stesso aveva perduto la guerra! — afferma indignato Putin —: un fatto unico nella storia dell’umanità! È stato il risultato del tradimento di coloro che allora governavano il Paese (…); immensi territori, interessi vitali del nostro Paese sono stati svenduti per soddisfare gli interessi di un gruppo che voleva solo rafforzare la propria posizione di potere».
Ripulita dal leninismo l’esperienza sovietica è così pronta per essere collegata direttamente al passato zarista, ridipinto con i colori della più fulgida grandezza. È vero che nell’esperienza sovietica campeggia l’ingombrante figura di Stalin a causa del quale «milioni di nostri concittadini hanno sofferto». Putin lo ammette, ma per aggiungere subito che «non bisogna dimenticare che la demonizzazione di Stalin è una delle direttrici d’attacco dell’Occidente contro la Russia e l’Unione Sovietica». È chiaro comunque il motivo per cui l’esperienza sovietica deve essere a tutti i costi salvaguardata: perché è al suo interno che si colloca la vittoria sul nazismo e tale vittoria è chiamata a costituire il fondamento storico irrinunciabile sia della spinta neoimperialistica della leadership putiniana sia dell’orgoglio nazional-patriottico russo che Putin stesso intende alimentare in ogni modo per sostenere tale spinta.
Credo che non esista al mondo un evento storico protetto da una blindatura penale come quella che in Russia, auspice il despota, protegge la «Grande Guerra patriottica 1941-1945». Una guerra, c’informa tra l’altro Werth, che nell’attuale manuale di storia dell’ultimo ciclo delle scuole russe, è presentata come del tutto avulsa dalla Seconda guerra mondiale nel suo complesso, e quindi senza che si faccia neppure un cenno, per esempio, alla guerra sul fronte occidentale, alla vittoria tedesca sulla Francia, alla battaglia d’Inghilterra o a Pearl Harbor. Un articolo delle leggi memoriali approvate all’indomani dell’occupazione della Crimea nel 2014 commina dunque fino a cinque anni di carcere (cinque anni!) a chiunque, oltre a mettere in dubbio la fondatezza del giudizio del Tribunale di Norimberga, a) «diffonda informazioni scientemente false sulle attività dell’Urss durante la Seconda guerra mondiale»; b) «diffonda informazioni manifestamente irrispettose sulle date della gloria militare e sulle date memorabili della Russia relative alla difesa della patria o profani i simboli della gloria militare russa». Non basta. Il 24 febbraio scorso, immediatamente dopo l’attacco all’Ucraina, è stata aggiunta una clausola quanto mai significativa — che potremmo chiamare la clausola della coda di paglia — che vieta esplicitamente «qualunque tentativo compiuto nello spazio pubblico, volto a mettere sullo stesso piano le azioni dell’Unione Sovietica e della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale». E dopo le leggi sono naturalmente fioccate le condanne: ad esempio a carico di chi aveva osato ricordare il patto Hitler-Stalin dell’agosto del ’39 , o definito «carnefice» il generale Rudenko, che prima di essere procuratore sovietico al processo di Norimberga era stato membro dei tribunali straordinari che negli anni del Grande Terrore staliniano avevano mandato a morte migliaia di innocenti.
Come è facile immaginare l’Ucraina costituisce un soggetto privilegiato del Putin storico. Il cui punto di vista è compendiato in un lungo testo del 2021 che già dal titolo dice tutto: «Circa l’unità storica dei Russi e degli Ucraini». Questi ultimi vengono descritti come un popolo slavo che però l’invasione mongola del XIII secolo rigettò verso ovest, consegnandoli all’influenza della Polonia e del cattolicesimo, mentre i Russi invece fondavano Mosca, destinata a divenire grazie a Pietro il Grande e ai suoi successori il «centro riunificatore» di tutto lo slavismo. Dunque l’Ucraina come entità autonoma non è mai esistita, è stata un’invenzione della «politica bolscevica delle nazionalità a spese della Russia storica» e lasciata a se stessa possiede un’intima vocazione a passare dall’altra parte: con i polacchi, i cattolici, gli svedesi, i nazisti. Sul carattere della progettata «denazificazione» del Paese Putin finora non si è mai espresso in pubblico. Ha preferito lasciar parlare sulle pubblicazioni ufficiali del regime i suoi ideologi come questo Timofei Sergueizev di cui a ragione Werth reputa utile riportare gli agghiaccianti propositi: «La denazificazione consiste in un insieme di misure nei confronti della massa nazista della popolazione che per ragioni tecniche non può essere direttamente perseguita per crimini di guerra (…); è necessario procedere a una pulizia totale (…) ; oltre ai massimi dirigenti è da considerare egualmente colpevole una parte importante delle masse popolari, responsabili di nazismo passivo , di collaborazione con il nazismo (…). La durata della denazificazione non può in alcun caso essere inferiore a una generazione. (…)La denazificazione sarà inevitabilmente una de-ucrainizzazione (…) La denazificazione dell’Ucraina significa anche la sua inevitabile de-europeizzazione».
C’è ancora qualcuno che in nome della «pace» intende negare le armi a chi se la sta vedendo da mesi con simili criminali?