La parola ai grafici
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Bisognerà capire quali costi politici il governo, e in particolare la premier Giorgia Meloni, riterrà di poter pagare per difendere il ministro del Turismo di FdI, Daniela Santanchè.
E non tanto per arginare l’offensiva di opposizioni confuse e divise. Piuttosto, il problema di Palazzo Chigi è di evitare che la vicenda venga utilizzata in un conflitto sotterraneo nella propria maggioranza: tanto più in vista delle Europee del 2024. La freddezza che si percepiva al Senato durante il discorso di Santanchè, indagata a Milano, è un segnale.
E l’«imputazione coatta» del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, pure di FdI, di cui si è avuta notizia ieri, ripropone una questione più generale. L’accusa è di avere rivelato al compagno di partito Giovanni Donzelli notizie riservate riguardanti l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto in regime di carcere duro. Il tema, tuttavia, finisce per riflettere la difficoltà di ristabilire rapporti normali tra politica e magistratura: tanto più per una forza come FdI, additata in passato di essere troppo dalla parte dei giudici.
L’idea che i tempi della politica siano condizionati da provvedimenti giudiziari riaffiora come una maledizione. E si tratta di una maledizione non solo per gli eletti ma per gli stessi magistrati. Ma il cortocircuito è in agguato. Palazzo Chigi reagisce all’imputazione di Delmastro dicendo che «è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee».
Sono accuse che anticipano nuovi veleni. E espongono ogni potere alla strumentalizzazione dell’altro. La tentazione di rispondere radicalizzando la dialettica, abbozzando riforme che suonano punitive, può avere effetti-boomerang. Invece di sanare l’anomalia, la perpetuano e la estremizzano, prefigurando un conflitto dal quale uscirebbero sconfitte sia la politica sia la giustizia. La stessa tendenza a brandire il «garantismo» come bandiera contro l’invadenza dei magistrati promette di provocare soprattutto malintesi e polemiche.
Suona come reazione a un «giustizialismo» cresciuto all’ombra delle forze populiste; e fonte di conflitti che hanno lasciato una scia di incomprensioni e veleni tuttora in circolazione. Ma dare la sensazione di replicare un muro contro muro ereditato dal passato, pensando di farlo da posizioni di forza, invece di guarire un rapporto anomalo promette di alimentarlo e di offrirgli un alibi. Per il governo, riuscire a sottrarsi a questo cortocircuito che esalta soltanto le posizioni più radicali non sarà facile. Eppure dovrà provare a farlo per non diventarne vittima.