Col governo Meloni parte la sfida per l’egemonia culturale e la sinistra non è pronta
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2 Novembre 2022Umberto Galimberti
«L’aggressività è la caratteristica di questa destra. Lo è di tutte le destre. Il problema è che quando si sceglie la linea dura, chiunque si sente autorizzato a seguire la propria idea di legge e ordine e le conseguenze possono essere spiacevoli». Il professor Umberto Galimberti, filosofo, accademico e psicanalista, sdraia sul lettino del suo studio il nuovo esecutivo-tolleranza-zero. La diagnosi che ne ricava è inquietante. Non tanto per la destra. Quanto per il Paese. Il decreto-rave-party (con torquemadesca ipotesi di galera fino a sei anni) gli sembra il primo passo di un percorso chiamato: «fine della libertà, inizio della repressione».
Professore, qual è la logica del decreto rave-party?
«È quello di un esecutivo che deve ancora iniziare a governare, ma ha già cominciato a mandare messaggi forti ai suoi elettori. Vuole compiacerli».
Gli effetti di questa norma più che compiacere gli elettori di estrema destra rischiano di portare in galera un sacco di ragazzini inquieti.
«Viene da chiedersi perché si sia deciso di intervenire a proposito di ragazzi che mangiano, bevono, ascoltano musica ad alto volume e magari usano anche droghe e alcol, ma non si sia fatto niente per gli ultras dell’Inter».
La curva di San Siro svuotata per onorare la scomparsa del pregiudicato Vittorio Boicchi giustiziato dalla criminalità organizzata?
«Esatto. Tifosi arrivati da tutta Italia, che hanno pagato il biglietto, e magari hanno speso i soldi per un treno, costretti a rinunciare alla partita. Per casi come questi, curiosamente, il governo non ha immaginato nulla. A conferma che si vogliono punire gli assembramenti che hanno un sapore di sinistra».
Vale anche per gli scontri a La Sapienza?
«Vale anche per le università, o le scuole, dove non si potrà più fare la minima rivendicazione e neppure uno sciopero studentesco. E vale anche per i centri sociali. In queste condizioni è inutile parlare di libertà. Meglio parlare di repressione».
Il governo conculca le libertà. Non sta esagerando?
«Mi limito a constatare i fatti. I giovani non hanno più luoghi di ritrovo e di socializzazione. Sono spariti gli oratori, restano solo i bar e le strade. O, appunto, i centri sociali e le università. La storia va avanti anche grazie alla componente ribellistica che c’è nella gioventù, diversamente saremmo in un mondo immobile».
La ribellione può avere effetti antipatici.
«La ribellione può avere anche delle forme non gradevoli, ma certamente non punibili penalmente. Noto, per altro, che questa compressione della libertà d’espressione avviene nello stesso momento in cui si lasciano sfilare quattromila persone a braccia tese davanti alla cripta di Mussolini».
Il ministro Piantedosi, padre della norma sui rave, ha spiegato che quelle sfilate ci sono ogni anno.
«E che cosa vuole dire? Che questo alleggerisce la scena? Non è così. La rende ancora più grave. Se la si vuole considerare folclore allora bisogna considerare folclore anche i rave».
Sono folclore anche le sedi occupate da CasaPound?
«La domanda è retorica e suscita una riflessione: il governo non muove un dito contro chi sta dalla loro parte, mentre interviene contro quelli che vengono considerati degli sgangherati. Senza valutare che tra i partecipanti dei rave party c’è anche gente di totale buonsenso, come le operazioni di sgombero hanno dimostrato. Però sono assembramenti di sinistra e allora vengono considerati al di fuori del concetto di ordine (poliziesco). Cosa che non vale invece per Predappio».
Il presidente Meloni, nel suo primo discorso alla Camera, ha spiegato che protestare è sempre sano. Non sembrano le parole di un dittatore.
«Meloni ha fatto discorsi equilibrati per farsi accettare dalla comunità internazionale. Dalla Nato e dall’Europa. Ha parlato con Macron, ora vedrà Von der Leyen con la consapevolezza, suppongo, che senza l’Unione andiamo a gambe all’aria».
Ma?
«Ma con i suoi primi atti da Palazzo Chigi ha cominciato a picchiare duro, dando subito un’impronta di destra-destra. Prima con questa forma repressiva di cui abbiamo parlato, poi con la storia del contante che – è inutile nasconderlo – favorisce l’evasione. E ora arriviamo ai migranti».
In che modo?
«Meloni ha tolto il ministro dell’Interno a Salvini per consegnarlo al suo capo di gabinetto, Piantedosi. Poi ha assegnato le Infrastrutture, che comprendono anche i porti, al leader della Lega, quindi ha esonerato il ministro Musumeci dalla gestione delle coste affidandole a Salvini».
Morale?
«Sarà Salvini a gestire il problema immigrazione, usandolo al solito come carta per recuperare voti. Basta pensare a quello che sta succedendo in queste ore con le tre navi delle Ong bloccate al largo della Sicilia».
Legge e ordine. Si torna sempre lì.
«Ma ci si torna male. Perché quella di cui stiamo parlando non è un’emergenza, ma la storia che fa il suo corso. Siamo stati noi europei a colonizzare quei popoli, corrompendoli e svuotandoli delle loro ricchezze. A seguire sono arrivate la siccità, le guerre civili e ora anche il razionamento del grano a causa della guerra in Ucraina. Sono fatti strutturali. L’immigrazione è il vero evento forte della storia contemporanea».
Perché ci fa così paura?
«Parliamo del razzismo degli italiani?».
Razzismo?
«Razzismo. Ha presento la frase: io non sono razzista, però. Ecco io mi concentrerei sul però. Il sottotesto è che i neri arrivano per portarci via il lavoro e violentare le nostre donne (cosa che fanno anche gli italiani). Ma c’è un elemento inconscio che va molto al di là di questo».
E quale sarebbe?
«La consapevolezza che chi arriva è biologicamente più forte di noi. Pensi ai nigeriani. Per sbarcare in Italia attraversano deserti, affrontano campi di tortura, superano viaggi nei mari in tempesta. Li temiamo perché siamo più deboli di loro. Che per altro, a differenza nostra, continuano a generare».
Crede anche lei che il governo usi alcune parole come un’arma, o per lo meno come bandierine identitarie?
«Lo credo. Ma l’utilizzo di certi vocaboli non può che suscitare ilarità. Penso alla “sovranità” del ministero dell’agricoltura. Che significa? Che Carlin Petrini è un sovranista? Che dobbiamo smettere di comprare formaggio francese così loro smettono di comprare il nostro? Bisogna fare molta attenzione. Anche la parola Nazione mi fa venire da ridere».
Che cosa c’è che non va nella parola Nazione?
«La parola Paese è così bella. Nazione era in voga in epoca fascista e ora viene riproposta. Come Patriota. Attenzione però: se dicendo Nazione si fa riferimento alla nazionalità di un popolo è un conto, se si fa riferimento al suo nazionalismo è un altro. Se evocando la Nazione si allude a un luogo identitario si finisce per discriminare e per strizzare l’occhio a Orban e ai polacchi».
Se dico merito ride lo stesso?
«Se parliamo di merito prima delle scuole superiori certamente sì. Le basi di partenza non sono uguali per tutti. Non penso solo a un immigrato che va in prima elementare. Ma anche a un bambino di Quarto Oggiaro che non hai mai letto un libro. Fino alla terza media i ragazzi vanno tirati fuori. Non può esserci solamente la misura del profitto. Da lì in avanti il discorso cambia».
Tirarli fuori non significa educarli?
«La scuola al massimo istruisce. Non educa mai, per due motivi. Uno è oggettivo: con classi da 30 ragazzi non ce la si fa».
Il secondo?
«Soggettivo. Platone diceva che la mente non si apre se prima non si apre il cuore. Nella fase della preadolescenza i ragazzi hanno bisogno di comprensione e di empatia, per essere accompagnati dal momento pulsionale a quello emotivo. Per fare in modo che non confondano il corteggiamento con lo stupro o non prendano a calci un barbone in piazza Trilussa. Ma stiamo parlando di niente, visto che gli insegnanti non fanno neppure un esame di psicologia dell’età evolutiva».
Professore, che cosa diventa questo Paese tra un anno?
«Non lo so. Ma considerata la spaventosa povertà emergente io ho davvero molta paura».
La qualità del governo come le sembra?
«Bassissima. Undici li abbiamo già visti all’opera vent’anni fa. Quelli davvero bravi, penso a Panetta, a Meloni hanno detto di no e questo dovrebbe farla riflettere. Giorgetti è un draghiano abbastanza capace, peccato che chini la testa ogni volta che Salvini alza il dito».
I sottosegretari?
«Parliamo di quel Bignami che si veste da nazista per fare festa e di quel Durigon che voleva sostituire il parco Falcone-Borsellino con il Parco Mussolini? Lasciamo perdere».
L’opposizione?
«Difficilmente sarà il problema di Meloni. Un’opposizione che per convertire se stessa e organizzare un Congresso ha bisogno di sei mesi, mi sembra uno scherzo. Sa quale sarà il problema di Giorgia Meloni?».
Quale?
«Matteo Salvini, che per carattere è uno sfascia-carrozze. Uno che piuttosto che al governo si troverebbe bene a un rave party».