Niall Ferguson
Il quadro futuro
«Temo una Terza guerra mondiale se gli Stati Uniti dovessero confrontarsi su Taiwan contro la Cina. Washington sta svuotando gli arsenali militari per aiutare l’Ucraina e non resisterebbe una settimana contro Pechino. Joe Biden non può permettersi di agire». Incontriamo Niall Ferguson, uno dei più prominenti storici economici contemporanei, a Saint-Vincent per la prima edizione del Grand Continent Summit. L’esperto di Hoover e Harvard non nasconde lo sguardo stanco e preoccupato. «Non è per colpa dei viaggi», risponde. «Siamo in una fase storica davvero complicata e con possibili conseguenze senza precedenti», dice. Nel mezzo delle schermaglie tra Usa e Cina, sottolinea, c’è un’Europa che deve trovare un centro di gravità «se non permanente, almeno sub-ottimale».
In tanti negli ultimi due anni hanno parlato di “policrisi”. È corretto?
«Deploro l’uso di questa parola. Penso che sia sbagliato perché chi la usa non si ricorda abbastanza la Storia. Se prendessimo una macchina del tempo e tornassimo indietro di 100 anni, allora vedremmo veramente cosa vuol dire “policrisi”: Mussolini in Italia, iperinflazione in Germania, la crisi della Francia, l’ascesa di Hitler. Oggi è peggio?».
Perché è così pensieroso?
«Temo una rottura tra Stati Uniti e Cina».
Cioè?
«Se fra poco ci fosse una crisi su Taiwan e le cose si aggravassero, si assisterebbe a uno shock davvero drastico, molto più grande di quelli che abbiamo visto negli ultimi decenni. In quel caso, sarebbe davvero legittimo parlare di una policrisi».
Cosa si rischia?
«Una Terza guerra mondiale, a quel punto. Se Pechino agisse in modo aggressivo su Taiwan e, di conseguenza, Joe Biden inviasse due gruppi d’attacco di portaerei nel Pacifico, sarebbe come la crisi dei missili di Cuba, solo che di mezzo ci sarebbero le economie statunitense e cinese. E le ramificazioni di questa prova di forza sarebbero enormi, con effetti dirompenti per i mercati finanziari. Molto maggiori rispetto alla pandemia di Covid-19».
Dove si intervenne con stimoli fiscali.
«Già, e in questo caso non sarebbe possibile portare avanti misure di espansione fiscale e monetaria. Il mercato obbligazionario globale sarebbe completamente congelato. Un quadro spaventoso. Per fortuna non è il mio scenario di base, visto che sono convinto che Xi Jinping non voglia prendersi questo genere di rischi. Non lo ha mai fatto e non credo abbia desiderio di frenare la globalizzazione con le proprie mani».
Quale può essere il ruolo dell’Europa in tutto ciò?
«Non piacevole. L’Europa potrebbe diventare un terreno di battaglia sotto diversi aspetti. Non solo bellici, come è già adesso, ma anche commerciali. Ma il rischio maggiore è legato all’Ucraina. Se Kiev perde la guerra, le frontiere europee diventeranno un luogo estremamente pericoloso. Come sarà possibile commerciare con l’Ue in tal senso? Penso a settori chiave come la nautica, la difesa, l’aerospazio.
C’è un conflitto nel conflitto?
«Non c’è un solo fronte, come era ben chiaro nella Guerra Fredda. Qui ci sono diversi attori in gioco, e l’Europa è in mezzo a dinamiche che di sicuro non voleva affrontare. Però c’è un assunto di base».
Quale?
«Torniamo alle tensioni tra Usa e Cina. Se qualcuno pensasse che l’Europa sarebbe neutrale in caso di guerra in Taiwan, si sbaglierebbe. L’Ue starebbe con gli alleati transatlantici. Così come lo è stato nel caso dell’Ucraina, anche se c’è stato un severo prezzo da pagare, specie dal punto di vista economico. Ma non poteva essere altrimenti».
Nota una certa fatica mentale nell’aiutare Kiev?
«Fatica mentale non so se è il concetto corretto. Gli ucraini sono stanchi e hanno il diritto di vivere a Kiev. Hanno subito perdite molto, molto pesanti. Loro hanno il diritto di essere stanchi. Noi no. Adesso l’Ucraina è in estrema difficoltà. E quindi l’Europa».
C’è un problema di spese militari in seguito al conflitto in Ucraina?
«No, non c’è una questione diretta. Il punto è che gli arsenali si stanno svuotando. Nello specifico, gli Usa stanno esaurendo i missili di precisione. In circa sei giorni, se si entrasse in guerra con la Cina su Taiwan, non ce ne sarebbero più. Questa è una situazione disastrosa, ci vorranno circa 10 anni per portare le forze armate americane al punto di poter effettivamente combattere quella guerra».
La Cina ritorna…
«Sì, perché gli Usa non devono assolutamente andare in quella direzione. Bisogna aspettare».
Quanto?
«Dieci anni, quando la Cina sarà in completo disordine. L’economia domestica si fermerà, la tecnologia americana sarà dominante. Sono abbastanza sicuro che Washington vincerà la Seconda guerra fredda, quella contro Pechino. Sempre ammesso che non diventi qualcosa di peggio. Serve pazientare almeno fino al 2033».
Quali sono le sue tre più grandi paure da qui al 2050?
«Senza dubbio la Terza guerra mondiale. Ovvero avere una guerra nucleare e allo stesso tempo un conflitto spaziale. Quello potrebbe essere l’evento più disastroso possibile. Le conseguenze sono inimmaginabili».
La seconda?
«La morte della democrazia liberale. I giovani non sembrano capire che la libertà individuale è importante e va tutelata».
La terza paura?
«Che si verifichi una inavvertita catastrofe di origine tecnologica. Mi preoccuperei di un esperimento finito male. Penso alle risorse per la guerra biologica, le più pericolose. Di sicuro, i cinesi stanno lavorando in questo settore. Devo essere sincero?».
Certo.
«Riuscissimo a superare i prossimi 50 anni senza intoppi potremo ritenerci assai fortunati».
«Riuscissimo a superare i prossimi 50 anni senza intoppi potremo ritenerci assai fortunati».