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5 Agosto 2022FRANCESCO OLIVO
La rincorsa per tornare al Viminale parte da un cancello del centro che ospita i migranti, con un messaggio: adesso (ri)tocca a lui. Questa parte di Mediterraneo, porta d’Europa, scenario meraviglioso e tragico, è talmente simbolico da diventare irresistibile per chi vuole mandare segnali. Matteo Salvini è arrivato a Lampedusa, ospite della villa di Silvio Berlusconi a Cala Francese (comprata per due milioni «e sempre chiusa: che spreco!» dicono qui), senza bagni di folla, giusto qualche selfie con i turisti lombardi, ha visitato i centri dei migranti, ha incontrato i pescatori dell’isola preoccupati per il prezzo del gasolio. Ma questo non è un posto qualunque e Salvini lo ha scelto con cura parlando da aspirante ministro dell’Interno. Non si candida esplicitamente, ma ormai gli indugi sono pochissimi: «Mi piacerebbe che il prossimo titolare del Viminale fosse un uomo della Lega. O una donna», precisazione che sa di innocuo depistaggio rispetto alle sue reali intenzioni.
La voglia è tale da sembrare impazienza: «Conto i giorni che mancano alle elezioni, come quando facevo il militare e aspettavo la fine». Mentre declama il programma di governo, un gruppo di migranti, ospiti dell’hotspot di Lampedusa, lo osserva con curiosità, c’è tanto caos e non si capisce perché, «è Berlusconi?», chiede un ragazzo partito dalla Tunisia, «credo di no», risponde in francese un giovane subsahariano, ignari di essere lo sfondo perfetto per la nuova (vecchia) campagna elettorale. Salvini passeggia dentro al centro e parla di «accoglienza indegna», Mario Draghi crede si tratti di un’esagerazione: «Io credo che il governo sui migranti abbia lavorato bene, si poteva fare molto di più ma si è fatto il possibile».
Nel frattempo, nonostante le opinioni diverse di Giorgia Meloni e Antonio Tajani («è davvero troppo presto per parlare di candidature»), il leader del Carrocio insiste sulla richiesta di indicare prima del voto i ministri principali, «esteri, economia», quello dell’Interno lo dà già per assicurato. Per questo che di fatto è un debutto, Salvini ha scelto l’hotspot più grande d’Europa, il centro di raccolta dei migranti che sbarcano sull’isola e che poi vengono fatti partire. C’è posto per 380 persone, oggi ce ne sono 650, ma nei giorni scorsi la struttura scoppiava, con quasi 1500 presenze. Due giorni fa la maggior parte dei migranti, 871, è stata trasferita sul continente, una tempistica sospetta secondo Salvini, che ha accusato Luciana Lamorgese di voler coprire lo scandalo («con il favore delle tenebre», dice il senatore Stefano Candiani), mentre il Viminale, dati alla mano, risponde che è pura routine. Fatto sta che se l’idea del senatore era denunciare la mala gestione della ministra con un centro al collasso sullo sfondo, l’operazione non è andata in porto. L’hotspot di Lampedusa, pur sempre troppo pieno, non è il teatro del degrado visto nei giorni scorsi, non ci sono più i materassi per terra, non c’è aria di rivolta e le forze dell’ordine gestiscono senza difficoltà gli ospiti. Dopo una visita rapida tra i padiglioni, accompagnato dai funzionari della polizia e leghisti siciliani, Salvini va all’attacco di Lamorgese: «Questo luogo è indegno di un Paese civile. Si rischiano centomila profughi entro dicembre. Mi piacerebbe che venisse chiuso». La soluzione è pronta: con il centrodestra al governo torneranno i decreti sicurezza. «Ricordo con orgoglio – prosegue Salvini – che con i decreti sicurezza in vigore i morti erano dimezzati. È chiaro che più gente parte, più gente sbarca e più ne muore. Lampedusa è la porta d’Europa, non il campo profughi d’Europa». Nel programma che il centrodestra sta ultimando, ci sarà una proposta che l’ex ministro rivendica davanti ai cancelli dell’hotspot: «I centri di identificazione devono essere in Nord Africa».
In questi mesi, cercando una spiegazione al declino, il segretario del Carroccio ha fatto due calcoli: tre anni fa alle Europee prese il 34%, i sondaggi di qualche settimane dopo lo fecero arrivare quasi al 40%, mentre oggi le previsioni languono intorno al 14%, «se arrivassimo al 17% sarebbe un miracolo», diceva qualche giorno fa un fedelissimo in Transatlantico. Cos’è cambiato da allora a oggi? Molte cose, si dirà, ma Salvini ne individua una fra tutte: al Viminale aveva assunto l’immagine del politico che risolve i problemi, fermando i barconi a colpi di decreti. Senza ministero restano solo gli slogan. Analisti e politologi spiegano che dopo pandemia e guerra il tema dei migranti non preoccupa più di tanto gli italiani. Salvini però ha scelto di restare a Lampedusa anche oggi, nei momenti decisivi meglio cercare la zona di conforto.