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Dare un senso all’azzardo di Zelensky, che può dar fiato o costare troppo
PICCOLA POSTA
Kursk
diede il nome a una delle più decisive battaglie della Seconda guerra, vinta dall’Armata Rossa nel luglio del ’43. In suo ricordo diede il nome a uno dei più efficienti sottomarini nucleari russi. Nel 2000, durante un’esercitazione nel Mare di Barents, i suoi siluri esplosero a bordo e portarono a fondo la nave e i 107 uomini d’equipaggio.
Quando scrivo, è difficile riconoscere un proposito strategico nell’incursione – l’invasione… – delle forze armate regolari ucraine nella regione russa di Kursk. Tutte le ipotesi degli esperti sembrano poco plausibili. Così il proposito di alleggerire la pressione sul fronte di Pokrovs’k e sul resto della frontiera meridionale, richiamandone le truppe nel Kursk. Così l’intento di occupare stabilmente un pezzo di territorio russo da far pesare in un futuro negoziato: tre giorni di combattimenti, a ieri, sono un fatto rilevante, ma è improbabile una resistenza prolungata degli ucraini alla riorganizzata reazione russa. Si potrebbe immaginarla se l’occupazione riguardasse un centro abitato più grande di Sudzha, che è attorno ai 6 mila abitanti, e di cui si dice che una parte sia caduta in mano ucraina. Una città popolosa occupata dalle forze ucraine renderebbe arduo il bombardamento indiscriminato da parte russa, ma una simile prospettiva non sembra realistica. Scartate queste e altre ipotesi, compresa un’avanzata sulla centrale nucleare del Kursk che si trova a 60 chilometri di distanza, resta il colpo gobbo inflitto all’arroganza militare e politica russa dalla sorpresa ucraina. Sul confine tra la provincia ucraina di Sumy e quella russa di Kursk, a nord di Kharkiv, si paventava un disegno russo di avanzata imminente. Fra i due capoluoghi, Sumy e Kursk, la distanza in linea d’aria è di soli 133 chilometri. A maggior ragione, bisognava ritenere che lo stato maggiore russo avesse il controllo pieno del territorio. E proprio là, sotto i suoi occhi, gli ucraini hanno saputo radunare le forze scelte di due brigate e mandarle per 10 chilometri – o 15, o 20 – oltre la frontiera, con un dispiegamento di mezzi corazzati, senza trovare resistenza. Per giunta, meno di un mese fa le autorità russe avevano gridato all’allarme per “un’operazione segreta di Kyiv” sospettandone una complicità degli Usa, che si erano affrettati a rassicurarle – e, implicitamente o no, ad ammonire gli alleati ucraini a controllare la gittata di pensieri e bocche da fuoco. I proclami del generale in capo
Valerij Gerasimov e colleghi sulle trionfali operazioni per fermare l’avanzata ucraina, lungi dall’attenuare, esaltano la malaparata. Il prestigioso Gerasimov dormiva, l’ex ministro della Difesa Shoigu stava da commesso viaggiatore a Teheran, a portare il compassionevole messaggio di Putin agli ayatollah – “risparmiate i civili”… Putin, titolare dell’invasione di un territorio vasto due volte l’Italia, ha deplorato “una provocazione su larga scala”. Il pagliaccio Medvedev – non che gli altri lo siano meno, a lui hanno dato la casacca – ha tuonato che, basta con l’operazione speciale, ora bisogna marciare extraterritorialmente fino a Kyiv “e oltre”. Reazioni appena meno esose si registrano anche da noi, di scandalo per la Russia invasa “dai nazisti”, o di deplorazione ennesima per la sfida alla potenza atomica. Gli americani, cui ogni tanto succede di essere spiritosi, hanno detto che si informeranno sulle intenzioni degli ucraini. L’Europa ha detto che gli ucraini hanno il diritto di difendersi anche un po’ oltre la frontiera.
Forse il risultato maggiore di una mossa ardita se non temeraria è in questa rivelazione ennesima della condizione psicologica delle diverse parti in causa. La leadership ucraina e Zelensky personalmente avevano bisogno di dirottare l’attenzione su una propria capacità di iniziativa. E’ un azzardo, può dare fiato alla difesa e all’affannato sostegno interno e internazionale, o costare troppo. Ha reso attuale l’impensabile. Non era così con le incursioni, davvero tali, dei “volontari” russi antiregime a Belgorod. C’era un solo gran precedente: la marcia irresistita di Prigozhin sulla strada di Mosca e la fuga di Putin, finché l’impostore si era spaventato della propria ombra e aveva consegnato sé e i suoi al patibolo. Da Rostov sul Don a Mosca ci sono 1.000 chilometri, quei mercenari si erano fermati a 200 chilometri dal Cremlino. Da Kursk a Mosca ce ne sono circa la metà, e gli ucraini ne hanno coperti 10, forse 15. Parecchi.