“Guai Meloni al governo. Io dico: le serve un altro ventennio d’opposizione”
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1 Agosto 2022Alle origini del “terzo polo” che sembra prendere forma in queste ore — ma era già nell’aria da giorni — ci sono ragioni dette e altre sottintese. Quelle dette riguardano lo spazio delle forze liberal-democratiche, che qualcuno preferisce definire “riformatrici”.
Calenda, Emma Bonino e per la sua parte Renzi ritengono di non poter accettare la parte in commedia che il segretario del Pd assegna loro: una copertura a destra dell’alleanza di centrosinistra; o per meglio dire una cassa di compensazione in grado di attrarre volti e voti dall’area di Forza Italia, così da integrarli nella grande intesa elettorale che ha nel Pd il suo baricentro.
Per riuscire a interpretare bene questa parte Calenda e i suoi ritengono di aver diritto a un maggiore peso nell’equilibrio della coalizione, riducendo al tempo stesso i margini di manovra della sinistra. I nomi che corrono sono quelli di Fratoianni e Bonelli, oltre a Di Maio che di sinistra non è, ma è inviso a molti. Soprattutto i primi due sono personaggi che al grande pubblico dicono poco, ma qui sono usati come simboli per segnalare che la “coalizione Letta” è troppo spostata verso quella frangia, a cui non sono estranei settori dello stesso Pd, ansiosa di riprendere i rapporti con i 5S di Conte, magari subito dopo il 25 settembre.
S’intende, il “Rosatellum” è un modello elettorale che spinge a stringere patti, specie oggi che le destre — unite per convenienza — sono avanti in tutti i sondaggi. Tuttavia, se si accetta questa logica, si deve riconoscere che non hanno torto quanti dicono: e allora perché non i Cinque Stelle? Nemmeno Fratoianni ha votato la fiducia a Draghi: perché lui sì e gli altri no? Nel momento in cui Letta ha escluso Conte, ha fatto prevalere un altro punto di vista, rifiutando la semplice sommatoria di tutti i partiti anti-destra: il che per paradosso rende più difficile comporre l’alleanza, poiché si entra nel merito delle proposte politiche ed emergono le differenze. Renzi e Calenda, che certo non si amano, hanno colto la contraddizione e lavorano per dimostrare che il centrosinistra — al pari del centrodestra, ma in modo più clamoroso — è paralizzato dalle proprie incongruenze. Per cui vale la pena tentare l’avventura del “terzo polo” e dimostrare che la legge Rosato non è una gabbia da cui è impossibile evadere.
Poi ci sono le ragioni non dette o sottintese.
Se Letta in queste ore proponesse un accordo più generoso in termini di seggi uninominali sicuri alla Camera e al Senato, è verosimile che certe resistenze di principio verrebbero meno. Ma il segretario del Pd deve muoversi con prudenza: se cede verso destra, deve concedere altrettanto a sinistra. E non ha tutte queste risorse da distribuire. Consideriamo allora che la costola liberal-democratica si stacchi e che Calenda, Renzi, +Europa, Brunetta, Gelmini, Carfagna e gli altri facciano cartello. Hanno scarse possibilità di affermarsi nei collegi maggioritari, salvo casi particolari, ma concorrono nel proporzionale. Se la lista ottenesse, poniamo, il 5 per cento avrebbe venti deputati e dieci senatori. Con il 10 sarebbe una forza cospicua. E si aprirebbe un varco nel cosiddetto “falso bipolarismo”.
Ovviamente subiranno aspri attacchi, accusati di rendere inevitabile e ancor più massiccio il successo della destra. Il rischio c’è senz’altro. Ma è anche vero che il cartello non è destinato a sottrarre voti al Pd (Renzi, dice un sondaggio, è gradito solo all’1% dell’elettorato dem), mentre è in grado di dare uno sbocco al malessere della destra moderata, specie quella che per anni si è riconosciuta in Forza Italia. Come è accaduto più volte in Gran Bretagna con i liberali verso i conservatori.