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1 Maggio 2024Iran, i pasdaran avevano detto alla famiglia: si è suicidata. La smentita nei documenti segreti
Greta Privitera
Lo sapeva, ma leggerlo è un’altra cosa. «Sono devastata», dice al Corriere Nasrin Shakarami, mamma di Nika. Devastata dalla conferma che prima di essere uccisa, sua figlia ha subito violenze sessuali. Nika è Nika Shakarami, 16 anni, presa dalle Guardie del regime iraniano il 20 settembre 2022, scomparsa per nove giorni e ricomparsa, senza vita, in un obitorio di Teheran.
«Si è suicidata, si è buttata da un palazzo», avevano detto le autorità alla famiglia, ma nessuno ci ha mai creduto. «Mia figlia è una combattente, sapevo che avrebbe lottato fino alla fine contro le guardie del regime e che non avrebbe mai permesso di essere toccata». E immaginava che loro, gli uomini degli ayatollah, gliel’avrebbero fatta pagare.
Sono sei mesi che i giornalisti della Bbc analizzano riga per riga un documento «altamente confidenziale» in cui ci sono scritti nomi e cognomi degli agenti che in quel giorno d’autunno l’hanno caricata viva su una camionetta, e fatta uscire morta. Nomi confermati anche dalle nostre fonti.
Dire Nika Shakarami, in Iran, è come dire Mahsa Amini. Appena scoppiate le proteste dopo l’uccisione di Amini, è diventato virale un video in cui la sedicenne di Khorramabad, in piedi su un cassonetto, tende il braccio verso il cielo, mentre stringe un velo in fiamme. Intorno, i compagni e le compagne di resistenza urlano «morte al dittatore».
Le guardie, si legge nel documento, pensano che questa adolescente dai capelli e gli occhi neri, così coraggiosa, possa essere una dei leader delle proteste. Cercano di prenderla, ma lei scappa. In quell’ora che passa prima dell’arresto, Nika sente al telefono Nele — la ragazza tedesca che ama — e le dice «mi stanno cercando, abbi cura di te».
La trovano. La caricano in auto. Sono gli agenti della Squadra 12. Dietro, con lei, ci sono le guardie Arash Kalhor, Sadegh Monjazy e Behrooz Sadeghy. Davanti, il caposquadra Morteza Jalil. Centri di detenzione e questure respingono la richiesta di prenderla in carico: non ci sono più posti. In quei giorni le celle sono piene delle centinaia di ragazzi che protestano contro la dittatura — in pochi mesi ne uccideranno 551.
Nel report della Bbc si legge la testimonianza di una guardia, Sadeghy. Racconta che nella camionetta Nika urla, si dimena: «Arash Kalhor le ha imbavagliato la bocca con i calzini ma lei ha iniziato a dibattersi. Poi Monjazy le si è seduto sopra. Non so cosa sia successo, ma dopo pochi minuti ha iniziato a imprecare. Non vedevo niente, sentivo solo combattimenti e colpi». Kalhor spiega di aver acceso la torcia del telefono e di aver visto Monjazy «infilarle la mano nei pantaloni». Poi, dice, perdono il controllo. «Non so chi lo stesse facendo, ma potevo sentire il manganello che colpiva l’accusata. Ho iniziato a dare calci e pugni ma in realtà non sapevo se stavo colpendo i nostri ragazzi o Nika». Monjazy nega le affermazioni di Kalhor. Dice di non averle messo la mano nei pantaloni, ma ammette di essersi «eccitato» seduto su di lei e di averle toccato il sedere.
Con le mani legate dietro la schiena, Nika graffia, si dimena, si difende. Il caposquadra ordina all’autista di accostare. Apre la porta posteriore e vede che Nika è morta, che è stata uccisa dalle bastonate, dai calci e dai pugni dei suoi tre uomini. Le pulisce il sangue dalla testa «che non era in buone condizioni». Decidono di abbandonare il corpo martoriato sul ciglio della strada e iniziano la messinscena.
Avanti veloce un anno e mezzo dopo.
Due settimane fa, la polizia morale arresta a Teheran la sorella, Aida Shakarami perché non indossa il velo. Aida è rilasciata su cauzione. La famiglia racconta che alla ragazza è stato vietato di uscire di casa e di usare il cellulare. Appena fuori dalla prigione, Aida sfodera lo stesso spudorato coraggio di Nika. Si scatta una foto: stringe tra le braccia un mazzo di fiori, sorride e ha il capo scoperto. Proprio come quello dell’amata sorella.