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Dietro l’immagine immediata del conflitto – il fronte, le armi, la diplomazia – si muove una dimensione economica enorme, spesso più silenziosa ma decisiva per capire la posta in gioco. La guerra russo-ucraina non è soltanto uno scontro territoriale: è una gigantesca redistribuzione di mercati, risorse e proprietà, che coinvolge Mosca, Kiev e l’intero Occidente, con gli Stati Uniti in una posizione di forte vantaggio strategico.
La prima grande area riguarda l’energia. L’invasione russa del 2022 ha spezzato un equilibrio trentennale: il gas di Mosca garantiva circa il 40% del fabbisogno europeo, ma la rottura politica ha trasferito quel mercato agli esportatori americani di gas naturale liquefatto. Per gli Stati Uniti, la domanda europea ha significato nuovi terminali, contratti ventennali e un incremento strutturale delle esportazioni. Per la Russia, la perdita del mercato europeo resterà il danno economico più duraturo della guerra, indipendentemente dall’esito militare.
La seconda dimensione è l’industria degli armamenti. Gli Stati Uniti, che detengono già il primato globale del settore, hanno visto la domanda crescere come non accadeva dalla Guerra fredda. Le forniture all’Ucraina passano formalmente dagli aiuti approvati dal Congresso, ma la maggior parte delle risorse resta nei bilanci del Pentagono sotto forma di ordini a Lockheed, Raytheon, Northrop, General Dynamics. L’Europa stessa, per sostituire le scorte e rinnovare i sistemi, compra soprattutto armamenti americani. La guerra ha dunque trasformato la sicurezza europea in un nuovo mercato, che rafforza ulteriormente il legame – e la dipendenza – con Washington.
La terza area, meno visibile ma cruciale, riguarda la ricostruzione ucraina. Il costo stimato supera i cinquecento miliardi di dollari: un’economia parallela che durerà decenni. Per gestire questo processo Kiev si sta affidando a operatori finanziari internazionali come BlackRock e J.P. Morgan, chiamati a costruire fondi e piattaforme per attrarre capitali privati. È un disegno che prepara il dopoguerra e che avrà effetti profondi sulla proprietà immobiliare, sulla pianificazione urbana, sulle infrastrutture. Non siamo di fronte alla “svendita del Paese”, come talvolta si afferma, ma a una ristrutturazione che rischia comunque di cedere una quota consistente del futuro dell’Ucraina agli investitori che avranno la capacità, e la liquidità, di intervenire per primi.
Sul versante opposto, la Russia sta già ridisegnando gli assetti proprietari nei territori occupati: terreni, fabbriche, case, aziende agricole sono stati nazionalizzati o trasferiti a imprese vicine al Cremlino. È il più grande mutamento forzoso di proprietà in Europa dal secondo dopoguerra, e produce una nuova geografia economica che sopravvivrà alla guerra, indipendentemente da ciò che accadrà diplomaticamente.
Infine, c’è la questione del mercato fondiario ucraino. La liberalizzazione pre-bellica ha aperto a concentrazioni di terra in mano a grandi gruppi agricoli interni e internazionali. Gli stranieri, formalmente, non possono acquistare direttamente; ma il ricorso a strutture societarie locali, leasing di lungo periodo e indebitamento agricolo crea un contesto favorevole a una futura penetrazione. La vera pressione arriverà nel dopoguerra, quando la necessità di ricostruire spingerà a usare la terra – e gli immobili – come garanzia per nuovi finanziamenti.
Guardare la guerra soltanto dal punto di vista militare significa perdere la parte più profonda del conflitto: la trasformazione degli equilibri economici europei, la pressione sui patrimoni ucraini, la riorganizzazione dell’industria energetica e militare globale. Gli Stati Uniti non hanno “scatenato” la guerra, ma stanno traendo un vantaggio strategico rilevante da tutte le sue linee economiche: energia, difesa, finanza. La Russia, al contrario, ha usato il conflitto anche come strumento di redistribuzione interna delle proprietà. L’Ucraina, infine, rischia che la sua rinascita economica diventi dipendente dalle condizioni e dagli attori che sapranno imporre il proprio peso nel grande mercato della ricostruzione.
È in questo intreccio – più che nelle semplificazioni complottistiche – che si vede davvero quanta economia c’è dietro la guerra. Una partita globale che non si giocherà soltanto sul campo di battaglia, ma nei consigli di amministrazione, nei fondi di investimento e negli accordi che definiranno chi possiederà, domani, le infrastrutture, l’energia e la terra della nuova Ucraina.





