Vero è che la stagione dei comizi, specialmente alla vigilia del voto, è anche quella in cui i leader prendono licenza, pronti a riassumere un atteggiamento più consapevole dopo l’apertura delle urne. Ma Meloni si è impegnata per questi primi venti mesi di governo per costruire una sua credibilità proprio sul terreno europeo e sugli scenari internazionali (si veda il chiaro atteggiamento pro-Nato, pro-Usa e pro-Israele a proposito delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente). Può dire adesso che l’Europa limita la libertà degli Stati membri dell’Unione, che perde il suo tempo solo a occuparsi delle farine da insetti, che vuole imporre drastiche limitazioni all’uso delle automobili o ristrutturazioni edilizie senza dire chi le pagherà? Immaginiamo con quale faccia la presidente del Consiglio si sarebbe presentata a uno dei tanti vertici europei a cui ha partecipato se si fosse fatta precedere da affermazioni di questo tipo, che non si è consentito negli stessi termini neanche Orban, con il quale tra l’altro lei ha trattato nell’interesse dell’Europa. E si potrebbe continuare con gli attacchi a Macron, con cui dopo clamorose rotture era riuscita a ricostruire un rapporto, e che nel frattempo le ha riconosciuto invano lo status di utile interlocutore nell’ambito di una destra europea attraversata da pulsioni estremistiche.

Fin dall’inizio della corsa per l’Europarlamento Meloni ha scelto di impadronirsi della parola d’ordine salviniana della maggioranza di centrodestra, aperta anche alle forze più radicali, da portare a Strasburgo. Ma nel momento in cui perfino Le Pen – che soltanto nel 2027 ha un appuntamento con la candidatura alla presidenza della Repubblica francese – prende le distanze dai deliri filonazisti emersi dall’interno di Afd, forse anche la premier italiana, che un ruolo istituzionale ce lo ha già dal giorno in cui è andata a sedersi a Palazzo Chigi, almeno su questo punto dovrebbe far chiarezza.

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