Nel Pd circola un dossier “Briefing Qatar e posizione Pd”. Lo ha subito fatto comporre Brando Benifei, il capodelegazione dem a Bruxelles, si elencano tutte le volte che il gruppo ha detto no a Doha. Serve a rassicurare tutti, per quello che è possibile, a Bruxelles e soprattutto a Roma. «Dato lo schifo che sta emergendo sono contento di aver portato la delegazione che guido a tenere una linea molto dura nelle votazioni sul Qatar», rivendica Benifei. «Se c’è stato un tentativo di influenzarci non è andato a buon fine».
Ma i dubbi che fra i socialisti qualcuno abbia sottovalutato qualcosa fanno breccia. Andrea Orlando legge la denuncia della francese gauchista Martine Aubry e rilancia: «È vero che i vertici del gruppo socialista al parlamento europeo hanno detto di no alla proposta del gruppo Left di discutere una mozione sul Qatar? E se sì, perché?».
Nel gruppo guidato dalla spagnola Iratxe García Pérez sono tutti tramortiti. In serata, dopo due riunioni a Strasburgo, un comunicato di sdegno, una plenaria del parlamento, e una riunione “ristretta” del gruppo di italiani, arrivano le (prime?) dimissioni concordate. Quattro: dai ruoli negli organismi, due eurodeputati Pd, Andrea Cozzolino (il cui assistente parlamentare Francesco Giorgi, compagno della vicepresidente Eva Kaili, è agli arresti, come lei) e Pietro Bartolo (due assistenti convolti nell’indagine, forse non nella stessa misura); lo stesso fa la belga Maria Arena, mentre Marc Tarabella, italo-belga, si autosospende dal gruppo.
LA LEGNATA
Nella riunione degli italiani va in scena lo psicodramma. Anche perché al Pd mancava solo questa legnata. Dopo la sconfitta elettorale, nel pieno di un congresso che non ingrana e aumenta le polemiche ma non gli iscritti, con il tema della «credibilità perduta» declinato in varie salse politiche, mancava solo che sull’europeismo sbandierato come muro contro le destre sovraniste si abbattesse «il più grande scandalo che ha coinvolto il parlamento europeo», come lo chiamano i media. E che nei corridoi dei palazzi di Bruxelles (ieri vuoti e un po’ spettrali, i parlamentari erano in sessione a Strasburgo) viene definito “italian job”, un colpo all’italiana.
Il segretario uscente Enrico Letta, ieri silente, deve bere fino in fondo anche l’amaro calice degli arresti di un ex dem, Antonio Panzeri, in realtà tessera di Art.1 (ma da anni lontano dal suo partito, dal momento in cui non era stato ricandidato), e di un assistente di un proprio europarlamentare. La linea è: «Saremo inflessibili se ci saranno nostre persone coinvolte», ed è «la linea del Pd sia di Bruxelles che di Roma».
Pochi ci mettono la faccia: «Quando c’è flagranza di reato non ci possono essere reticenze. Episodi come questi vanno sempre condannati, a maggior ragione perché a danno dei cittadini», dice a La7 la vicepresidente Pina Picierno. Massimiliano Smeriglio, indipendente nel gruppo Pd: «È necessario autosospendersi da parte di chi è coinvolto, a tutela propria e delle istituzioni. In attesa della verità giudiziaria», dice, ma «bisognerà andare a vedere i voti del passato per capire cosa è successo. E c’è il tema grande delle attività di lobbing. Che qui imperversano e che vanno regolamentate in maniera molto più stringente». La collega Alessandra Moretti, che è stata in visita ufficiale a Doha e ha un’assistente coinvolta nell’inchiesta, esplode contro la stampa e minaccia querele.
TERRORIZZATO
Ma resta un Pd «sconvolto», per usare il verbo della nota di S&D. Perché se sui social Euronews fa circolare le immagini del corridoio dov’è lo studio della vicepresidente greca Eva Kaili, con le stanze sigillate dalla polizia, anche nell’ala del Pd alcune porte hanno i sigilli. La presidente Roberta Metsola, in plenaria, va al punto dolente: sotto attacco è l’Europa e l’europeismo. «A quegli attori maligni, nei paesi terzi, che pensano che l’Europa sia in vendita lasciatemi dire che troverete questo parlamento sulla vostra strada. Siamo europei». C’è da capire se l’inchiesta lambirà la Commissione. Ieri al setaccio sono passate le frasi del vicepresidente, il greco Margaritis Schinas, quando da Doha sottolineava «i progressi considerevoli sulle riforme sul lavoro» del Qatar.
Ma intanto, da subito, come potranno essere credibili le accuse di corruzione scoccate verso i “nemici” dell’Europa? Ieri il premier Viktor Orbán se la rideva su Twitter: «Buongiorno al Parlamento europeo! E lì hanno detto di essere profondamente preoccupati per la corruzione in Ungheria».