L’INCHIESTA
Scaricabarile sulle responsabilità Frontex: “Avvisata subito l’Italia” La Guardia costiera: “Non ci hanno segnalato l’emergenza ”. Così i soccorsi sono partiti a naufragio già avvenuto
Dario Del Porto, Cutro e di Alessandra Ziniti, Roma
Lo hanno visto, fotografato, hanno tracciato una telefonata verso la Turchia, rilevato la presenza di forte calore sottocoperta. E lo hanno abbandonato per più di sette lunghissime ore in mezzo al mare forza 4. C’erano tutti gli elementi per capire che nel ventre di quel vecchio barcone che nella notte avanzava lentamente verso le coste calabresi con una sola persona al timone c’erano centinaia di migranti provenienti dalla rotta turca, percorsa soprattutto da famiglie di profughi afghani, siriani, iracheni. Ma, incredibilmente, a nessuno dei tanti attori comparsi sulla scena di quello che, solo poche ore dopo, sarebbe finito nella storia italiana come il secondo più grande naufragio di tutti i tempi è venuto in mente di fare quello che era obbligatorio fare: andare a salvare quella gente in pericolo. No, fermandosi al gelido linguaggio burocratico, quel barcone è stato trattato come un “evento di polizia” (law enforcement ) e non di “ricerca e soccorso”. L’aereo che lo aveva visto e segnalato poco dopo, finito il carburante, è tornato a terra, i mezzi navali che erano partiti per cercarlo in un’operazione di “repressione reati” sono tornati indietro per il maltempo. E tutti sono andati a letto senza curarsi di quel barcone sul quale 150-200 persone terrorizzate (il numero non è ancora chiaro) hanno visto arrivare la fine infrangendosi su una secca a soli cento metri dalla riva.
Solo 36 ore dopo la tragedia, Guardia costiera e Frontex hanno messo fine a un silenzio imbarazzante con uno sconcertante rimpallo di responsabilità e con una grossa contraddizione. Con Frontex ad accusare: « Abbiamo subito avvertito l’Italia di quel barcone sovraffollato» e la Guardia costiera a sottolineare: «Nessuno ci ha avvertito dell’emergenza fino alle 4.30, Frontex ha segnalato un’imbarcazione con una persona a bordo che navigava senza difficoltà». Quante persone, dunque, risultavano su quel barcone? Una, come dice la Guardia costiera e come risulta dal rapporto ufficiale di Frontex, o 200, come ha dichiarato ieri un portavoce dell’Agenzia europea di difesa dei confini? Non una questione di poco conto.
Deciderà la procura di Crotone se e in capo a chi saranno ravvisate responsabilità di omissione di soccorso. Ma la ricostruzione della tragicanotte è già chiara.
Un dispaccio di Mrcc Roma (la sala operativa del centro di ricerca e soccorso del Comando generale delle Capitanerie di porto) rivela che già alle 4.57 di sabato mattina una stazione radio italiana ha ricevuto unmayday per una barca in difficoltà nel mare Ionio. Non ci sono le coordinate, a tutte le navi in transito viene chiesto di mantenere alta l’attenzione e segnalare qualsiasi avvistamento.Ma nessuno vede nulla.
L’avvistamento di Frontex
Passano 16 ore e alle 21.26 un aereo di Frontex, l’Eagle 1, di pattugliamento sullo Ionio per l’operazione Themis, avvista il barcone e lo fotografa. Nel rapporto inviato alla centrale operativa di Frontex in Italia e, per conoscenza, a ben 26 indirizzi ( tra cui anche Mrcc Roma), si segnala un barcone «con una persona sul ponte e possibili altre persone sottocoperta, nessun giubbotto di salvataggio visibile, buona navigabilità a 6 nodi, nessuna persona in acqua». Di più: «Il sistema di monitoraggio satellitare di Eagle 1 rileva una telefonata partita dalla barca verso la Turchia, i portelloni di bordo aperti e una significativa risposta termica». Tradotto, presenza sottocoperta di numerose persone. Inviata la segnalazione, il velivolo non resta a monitorare la situazione dall’alto, come da prassi, ma — spiega Frontex — per l’esaurirsi del carburante torna alla base di Lamezia Terme. E niente altro si alza in volo.
L’operazione “di polizia”
Da Roma, qualcuno decide di fare uscire in mare non le motovedette della Guardia costiera classe 300, inaffondabili e autoraddrizzabili, capaci di affrontare condizioni meteo ben peggiori, ma due mezzi della Guardia di finanza per un’operazione di “repressione reati”: una motovedetta V5006 parte da Crotone poco dopo mezzanotte, ma si ferma davanti al mare forza 4 e torna indietro. Un pattugliatore d’altura muove da Taranto ma non individua il barcone e rientra in porto. Incredibilmente nessuno ritiene che,con quel mare, sia il caso di far uscire mezzi adeguati alla ricerca del barcone che, nel frattempo, avanza. Da bordo qualcuno riesce a chiamare le famiglie. Ma ancora nessuno contatta i numeri di emergenza. E chi doveva cercarli continua a dormire.
L’Sos con le luci dei telefonini
«Help, help». La traversata del caicco carico di migranti diventa drammatica intorno alle 4 di domenica mattina. Tre pescatori, sentiti come testimoni dai carabinieri, sono sulla spiaggia di Steccato di Cutro quando si accorgono che in mezzo al mare sta succedendo qualcosa: «A poche centinaia di metri dalla riva — racconta Paolo — ho notato un’imbarcazione in legno di medie dimensioni. A bordo c’erano tante persone, stavano segnalando un Sos con le luci del telefono». Lo conferma la testimonianza di uno dei sopravvissuti. In quel momento, dalla barca i migranti già stremati dopo cinque giorni di viaggio vedono «delle luci sulla costa. Tanti di noi hanno gridato “Help, help”. Credevamo si trattasse già dei soccorsi. Purtroppo non rispondeva nessuno ». Questione di istanti e sarà troppo tardi: «Dopo pochi minuti è arrivata una forte onda e c’è stato un forte urto, l’onda ha travolto la barca», dice il superstite. Paolo, il pescatore, dalla spiaggia assiste impotente alla scena: «A un tratto ho notato che l’imbarcazione, per via del mare agitato e delle forti onde, si è ribaltata e contemporaneamente si è distrutta in varie parti».
L’arrivo dei carabinieri
È una catastrofe. Alle 4.15 di domenica l’equipaggio radiomobiledei carabinieri viene contattato dalla centrale operativa di Crotone che ordina di raggiungere Steccato di Cutro. Al numero di emergenza era giunta, poco prima, una drammatica telefonata da un numero internazionale. Si sentivano solo urla disperate di donne. L’operatore, dopo aver localizzato la chiamata, avvisa la pattuglia. Alle 4.30, i militari sono sul posto. La zona è immersa nel buio, i carabinieri si trovano davanti a «sagome di individui che sbracciandosi, chiedevano assistenza ». Percorsa una cinquantina di metri, le torce in pugno, la pattuglia nota un primo cadavere sulla battigia, i resti del caicco ormai in pezzi e altri corpi in acqua. Contattano la centrale operativa e chiedono rinforzi. Nel frattempo trovano un bambino, gli fanno un massaggio cardiaco, ma invano. È già morto.
Arriva la Guardia costiera
Agli atti dell’inchiesta che ha portato al fermo dei tre presunti scafisti è allegato anche lo stralcio della relazione della capitaneria di porto di Crotone. «Alle 4.47, tramite 1530 (il numero di emergenza, ndr) si riceveva segnalazione riguardo la presenza di una barca a circa 40 metri dalla foce del fiume Tacina, su un fondale presumibilmente sabbioso e con profondità circa 3 metri », si legge. La nota va avanti: «Alle 4.55 ci ricontattava il segnalante, riferendo che le persone si stavano tuffando in acqua e stavano nuotando verso riva. Evidenziava, inoltre, la presenza di probabili cadaveri e che la barca si era distrutta». Circa un’ora dopo, verso le 5.35, la pattuglia della Guardia costiera giunta sul posto segnala alla centrale che sulla spiaggia ci sono «persone in ipotermia», «trascinate a riva dalla risacca» e «alcuni cadaveri». Subito dopo, una motovedetta proveniente da Crotone inizia le «attività di ricerca e soccorso al largo».
La telefonata al pescatore
Antonio Grazioso, 33enne operaio e pescatore, racconta aRepubblica di aver ricevuto, tra le 5.40e le 5.45, una telefonata dalla Guardia costiera. «Succede sempre quando arriva la segnalazione di qualcosa che è accaduto in mare — spiega Grazioso — perché nessuno meglio di un pescatore che conosce la zona, le correnti, i fondali, può rendersi conto della situazione. Sono iscritto nel libro dei pescatori, la Guardia costiera ha i nostri numeri e in questo caso mi hanno chiamato per dare subito una mano, perché si parlava di cadaveri. La capitaneria mi ha detto che avevano già persone sul posto». Antonio e il fratello Teodoro si vestono, salgono su un fuoristrada e si precipitano sulla spiaggia di Steccato. «Hanno preso mare brutto, è vero. Ma quello che li ha portati alla morte era a cento metri dalla riva. Se invece di domenica fossero arrivati sabato, con le condizioni buone del mare, si sarebbero potuti salvare tutti».