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21 Gennaio 2024Tornando su quello che è stato uno dei fili conduttori del suo pensiero, il ruolo della discussione pubblica nella democrazia, Habermas si pone due obiettivi: capire come il nuovo sistema dei social media modifichi la formazione dell’opinione pubblica, e difendere la sua visione dalle critiche che gli vennero rivolte da quando la formulò per la prima volta nel 1963, in un libro il cui titolo originale era Mutamento strutturale della sfera pubblica, che in Italia venne cambiato in Storia e critica dell’opinione pubblica.
Se allora, negli anni Sessanta, Habermas lamentava l’invasione della logica pubblicitaria e manipolativa nell’ambito della discussione pubblica e della comunicazione politica, oggi – in Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa (a cura di Marina Calloni, Cortina, pp. 120, € 14,00) si sofferma sulle conseguenze che derivano dallo sviluppo della rete e dei social media.
Con il declino dei giornali quotidiani e della stampa di qualità – scrive – si riduce drasticamente lo spazio per sviluppare, su temi controversi, argomentazioni sufficientemente complesse, e tali da impegnare una porzione significativa del tempo e della attenzione di ogni cittadino/elettore. La galassia della rete sembra apparentemente più democratica, perché ognuno può emanciparsi dal ruolo passivo di fruitore per diventare protagonista; ma per Habermas è più importante guardare attentamente il rovescio della medaglia: sulla rete, le informazioni anche più strampalate, circolano senza intermediazioni e filtri, le contrapposizioni diventano tanto più radicali quanto meno argomentate, l’esposizione a punti di vista diversi dai propri è molto limitata perché ognuno va a cercare solo ciò che lo conferma nei suoi (pre)giudizi.
Perciò, come efficacemente sintetizza Marina Calloni nell’introduzione, «il paradosso della sfera pubblica digitale consiste nel fatto che tanto più è illimitata quanto più privatizza le comunicazioni entro circoli ristretti». Al posto di una ‘democrazia del pubblico’ subentra una ‘democrazia dei micropubblici’, caratterizzata da una qualità argomentativa in via di rapida degradazione.
Sebbene sostanzialmente condivisibile, la diagnosi di Habermas potrebbe essere relativizzata a partire da due considerazioni: la prima è che, come sottolinea la curatrice, bisognerebbe prestare maggiore attenzione all’ambivalenza dei mutamenti che si stanno verificando e alle potenzialità che comunque portano con sé: per esempio la possibilità prima inesistente di far circolare flussi di opinioni transnazionali, che partono dal basso.
Il secondo punto sul quale anche insisterei è che Habermas rischia di idealizzare la vecchia sfera pubblica centrata sulla stampa di qualità, dimenticando quanto questa abbia funzionato (e funzioni tuttora, anche se ridimensionata) come strumento egemonico in mano alle élite economiche e politiche, che se ne sono sempre servite per indirizzare e manipolare le opinioni e le scelte del grande pubblico.
Accanto allo sguardo sul presente, è tuttavia interessante vedere come Habermas proponga una messa a punto del suo paradigma teorico, quello che vede nella discussione pubblica l’elemento essenziale del processo democratico. Il punto di fondo è: da cosa deriva la legittimità delle decisioni politico-legislative alle quali tutti i cittadini devono obbedire?
Per Habermas non è sufficiente dire che essa scaturisce semplicemente dal fatto che queste decisioni risultano dal voto della maggioranza dei cittadini o dei loro rappresentanti. Si sa che le maggioranze possono prendere anche delle grandi cantonate. E allora, dove sta la ragione per la quale dovremmo obbedire a ciò che decidono le maggioranze? La risposta di Habermas è molto semplice: si può presumere che queste decisioni siano legittime solo in quanto derivano da un ricco e articolato processo di pubblica discussione, che si svolge nei contesti informali, nell’opinione pubblica, nei media e nei Parlamenti. Solo il passaggio attraverso questi filtri (e non la mera conta dei voti) autorizza quella che Habermas chiama una presunzione di ragionevolezza per i risultati cui infine si perviene. Risultati che peraltro, in democrazia, sono sempre rivedibili con la presentazione di nuovi argomenti o la riproposizione di vecchi.
Anche in questo libretto, perciò, Habermas resta fedele alla sua convinzione di fondo: la sfera pubblica democratica non è solo (come sostengono i «realisti») un’arena dove regnano i poteri economici e mediatici, le manipolazioni e i discorsi demagogici; è anche, almeno potenzialmente, uno spazio dove si scambiano buone ragioni; e su questo bisogna scommettere se si vuole dare ancora una chance alla insostituibile idea moderna della autolegislazione democratica dei cittadini.