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La guerra non mente. Le bugie, l’impostura appartengono a coloro che la provocano, che la combattono e la alimentano, a coloro che la sfruttano a colpi di propaganda per lucrare astratta gloria e tangibili vantaggi. La guerra non bara perché è composta di fatti e quelli, prima o poi, impongono la loro spietata realtà. Ecco: la realtà: dopo tre anni fradici di pozzanghere di sangue e promesse di vittoria la guerra in Ucraina ci ha riportato impietosamente alla realtà: quella riconosciuta da Zelensky, l’impossibilità di vincere, ovvero liberare tutti i territori della sua patria aggredita e fracassata pezzo su pezzo dai russi. E questa impossibilità nasce dal più orrendo dei fatti, ovvero l’aver esaurito gli esseri umani per poterla raggiungere. Non le munizioni i carri armati o i missili, Kiev non può più gettare nelle trincee gli esseri umani, gli ucraini.
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Adesso, dopo tre anni, qualcuno è obbligato a dare risposte. Non Zelensky che ha prestato fede a coloro che facevano ben documentata fila a Kiev per garantirgli mese dopo mese, anno dopo anno, quella vittoria che definivano «l’unica pace giusta possibile», automatica se restava saldo a fianco della «più grande coalizione militare della storia umana». Ovvero la Nato. Zelensky ha commesso errori ma ha svolto con determinazione l’unico compito che gli era rimasto, battersi, resistere, dare fiducia a zelatori di schiamazzi che si definivano Potenze ed Economie invincibili.
Guardiamo per un attimo anche al Nemico, Putin, che pure dovrebbe rispondere anche ai russi dello strazio che ha imposto al suo popolo con migliaia di vittime e di sacrifici. Temo che sfuggirà all’appuntamento con il fardello delle proprie colpe. Non ha vinto completamente perché non ha ricondotto l’Ucraina al ruolo di paria dell’imperialismo satellitare sul modello della vecchia Unione sovietica, come era certamente nei suoi piani iniziali. La può sempre rivendicare, ed è vero, di aver resistito per anni alla più grande coalizione militare ed economica della storia. In fondo, almeno a parole, era solo una “operazione speciale’’ e Crimea e Donbass sono un bottino sufficiente. Questo successo basterà a confermare le vanterie di potenza che sono la colonna vertebrale del suo sistema.
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Coloro che hanno l’obbligo di dare risposte e non scivolare in nuove menzogne sono esperti e politici occidentali che si abbeverano alla guerra televisiva, a cui basta questo per dire che ne sanno tutto, il rumore sordo dei colpi di mortaio in partenza la taglia dei calibri quelli perforanti e quelli a tempo, gli ultimi modelli di carri armati… il rigor mortis … lo sguardo delle vittime … la forma della morte… tutto. Tutto salvo l’odore perché quello li farebbe fuggire in preda alla nausea e al panico. Hanno l’obbligo di dare risposte i leader delle democrazie occidentali che hanno assicurato che bastavano qualche migliaio di morti ucraini e “eroici’’ sacrifici economici nostrani per assicurare il trionfo della giustizia e del diritto internazionale. E che ora si metteranno in fila dietro a Trump, se il nuovo presidente terrà fede alle sue chiacchiere («…ah meno male che è arrivato quel bislacco a cui attribuire la scomoda necessità …») in fila per trattare: con chi? Con il criminale di guerra, il rapitore di bambini Vladimir Putin. E con chi altro visto che, purtroppo, è ancora lì? La purezza ahimè esiste solo nella chimica, non nei giochi della politica internazionale. La differenza tra colpa e innocenza, tra punizione e impunità, a Sebastopoli come a Damasco passa tra essere sconfitto o vincitore. Noi che avevamo promesso di cancellare il sistema putiniano imponendogli la vergogna della débacle abbiamo purtroppo rafforzato il mortale incantesimo di apatia, impotenza e paura con cui la sua mano avvolge da 24 anni le menti di coloro che domina.
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E risposte devono dare anche le società per azioni della guerra, le aziende della Sicurezza, che hanno ormai garantito per decenni il gaudio di contratti miliardari (…l’indispensabile due, tre quattro per cento di spese militari…), i veri registi molto interessati della lotta cosiddetta del bene contro il male.
Voglio esser più chiaro. Queste risposte non le devono in primo luogo alle opinioni pubbliche a cui hanno presentato preventivi fasulli. Basta il giudizio del voto senza scomodare la Storia. Devono le risposte ai morti. E ai feriti, ai mutilati ucraini, a quelli che, se ci sarà un cessato il fuoco, confronteranno i loro fantasmi, il terrore che hanno raccolto e visto sul campo di battaglia. Loro sì sanno cosa è l’odore dei morti e dovranno portarlo da un luogo all’altro in cui vivranno, dovranno viverci insieme e sperare che si sappia che lo portano in sé. Gli eroi, già gli eroi della libertà come li hanno lusingati per dare una ragione a mandarli a uccidere e a morire. Devono una risposta agli ucraini che ora dovranno vivere in uno spazio abitato da una paura perenne. Quello di un altro 24 febbraio.
Per questo non c’è altro da definire dopo quasi tre anni che fissare il grado della complicità. Spesso si dice semplicemente, per esprimere una opinione su quanto è accaduto, che la Storia giudicherà. In verità anche la Storia sarà giudicata. Un evento non si può misurare nei termini immediati della vittoria e della sconfitta perché quello che gli conferisce grandezza morale è la tragedia a cui ha dato vita. I protagonisti di questa tragedia, forse giunta a un nuovo capitolo ma non certo alla fine, non si accontenteranno di sentire da noi grossolane vacuità.
Ad esempio: senza le nostre armi e la nostra determinazione la Ucraina non esisterebbe più… Ma questo risultato necessario era già assicurato dopo poche settimane dalla aggressione russa. Grazie a mezzi e addestramento che erano stati forniti da inglesi e americani silenziosamente dal 2014. Le colpe iniziano quando si è pensato di spingere Zelensky e gli ucraini a cercare la vittoria totale a tutti i costi (…la controffensiva…) per far cadere Putin. Obiettivo che era fin dall’inizio irraggiungibile per le ragioni che Zelensky ha ammesso ora: gli uomini …
Questa svolta della guerra non ha nulla a che fare con il prossimo avvento di Trump. Non è la sua ombra incombente che spinge e costringe a trattative dolorose e funeste, è la spietata realtà dei fatti.