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19 Maggio 2024L’incredibile storia dell’Isola Inaccessibile, e dei due fratelli tedeschi che ci vissero da soli per due anni
A fine Ottocento Frederick e Gustav Stoltenhoff trascorsero 23 mesi sull’isola più remota dell’arcipelago più remoto del mondo. Un libro riemerso dal passato racconta la loro storia
«Se Tristan da Cunha è l’arcipelago più lontano da ogni terra emersa, Inaccessible Island, che si trova a 20 miglia marine e est dell’isola di Tristan, è la più remota isola del più remoto arcipelago del mondo, forse uno dei pochi luoghi in cui quasi nessuno va nell’epoca in cui tutti vanno dappertutto» si legge nella postfazione de L’isola Inaccessibile, appena dato alle stampe da Ciost Edizioni.
Il libro, pubblicato da Eric Rosenthal nel 1952 con il titolo di Shelter from the Spray e mai tradotto in italiano fino ad ora, racconta l’incredibile avventura di due fratelli tedeschi, che nel 1871 decisero di trasferirsi sulla disabitata Inaccessible Island per inseguire il loro sogno: cacciare le foche, numerose attorno all’isola, e arricchirsi vendendo il loro grasso e le pelli. L’impresa fallì e dopo 23 mesi sull’isola Frederick e Gustav Stoltenhoff fecero ritorno a Città del Capo, ma la loro avventura è rimasta immortale: ancora oggi detengono il record di sopravvivenza sull’isola più remota dell’arcipelago più remoto del mondo.
Il pirata italiano e l’arcipelago degli otto cognomi
Tristan da Cunha è un arcipelago dell’Oceano Atlantico meridionale a metà strada tra Africa e Sudamerica, composto da quattro isole: Tristan da Cunha è la principale e l’unica abitata, le altre sono Inaccessible, Nightindale e Gough. Politicamente fa parte del Territorio britannico d’oltremare di Sant’Elena, Ascensione e Tristan da Cunha, ma le altre due isole sono molto distanti (Sant’Elena si trova 2.172 chilometri più a Nord). Città del Capo dista oltre 2.800 chilometri, le coste dell’Argentina quasi 2.400.
L’isola e l’arcipelago devono il loro nome all’ammiraglio portoghese che le scoprì nel 1506. Per la colonizzazione bisognerà attendere altri tre secoli, e fra i protagonisti ci fu anche un italiano. I primi a stabilirsi a Tristan da Cunha furono infatti, nel 1811, gli statunitensi Jonathan Lambert e Andrew Millet insieme al livornese Tommaso Corri. Erano pirati, sulla nave proveniente dal Brasile avevano caricato semi, animali e alberi da frutto. Non avevano fatto i conti con i britannici, che cinque anni dopo si appropriarono di Tristan (nel frattempo ribattezzata Island of Refreshment) per impedire ai francesi di usare quell’avamposto per liberare Napoleone, in esilio a Sant’Elena dal 1815.
A Tristan non ci sono porti né aeroporti. Per arrivarci, oggi, l’unica opzione è il postale Elizabeth, che meteo permettendo parte ogni due settimane da Città del Capo. A meno di imprevisti occorrono cinque-sei giorni di navigazione. Sull’isola vivono circa 240 abitanti e i cognomi sono solo otto: Swain, Patterson, Hagan, Rogers, Glass, Green e gli italiani Lavarello e Repetto, tramandati da due naufraghi di Camogli approdati qui nel 1892.
L’Isola inaccessibile e perché si chiama così
Inaccessible Island è un vulcano estinto. Situata 40 chilometri a Sud-Ovest di Tristan da Cunha, ha una superficie di circa 14 chilometri quadrati e un’altitudine massima di 449 metri. Fu avvistata per la prima volta nel 1656 dalla nave olandese t Nachtglas ma ad attribuirle il nome fu l’equipaggio della francese Etoile du Matin, che nel 1778 transitò in zona e tentò l’approdo. «Inaccessibile» appuntarono sul diario di bordo i marinai, che una volta sbarcati sulla spiaggia non riuscirono a spostarsi all’interno a causa dei rilievi impervi.
Prima dei fratelli Stoltenhoff, gli unici a trascorrere un periodo sull’isola erano stati i naufraghi della Blenden Hall, una nave diretta a Bombay che il 22 luglio 1821 colpì uno scoglio e affondò. I membri dell’equipaggio vissero 16 settimane su Inaccessibile mangiando uccelli e carne di foca, prima di essere recuperati da un vascello inglese. Naufraghi a parte, anche gli abitanti di Tristan visitavano occasionalmente l’isola, ma si trattava di brevi spedizioni di caccia e pesca.
Dal 27 febbraio 1997, e cioè da quando è diventata riserva naturale, Inaccessible è inaccessibile non soltanto di nome ma anche di fatto (non ci si può avvicinare oltre le 12 miglia nautiche). Nel 2004, poi, insieme alla «vicina» Gough è entrata a far parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Chi erano i fratelli Stoltenhoff
Nell’ottocento il fascino per le isole deserte e i naufragi era ancora molto forte. Se La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe era uscito nel secolo precedente, la pubblicazione de L’Isola misteriosa di Jules Verne risale al 1874, pochi mesi dopo la fine dell’avventura dei fratelli Stoltenhoff che certamente dovettero respirare un po’ di quell’atmosfera.
Frederick Stoltenhoff, il maggiore, era nato a Mosca nell’aprile del 1847. La madre era originaria dello Yorkshire inglese, il padre un tedesco della Sassonia. Si erano trasferiti in Russia per fondare un’azienda di tessitura e tintura della lana. Gustav, il minore, era nato invece ad Acquisgrana nel 1852, dopo il ritorno della famiglia in Germania.
A 14 anni Frederick cominciò a lavorare come contabile in una ditta che commerciava stoffe. Gustav invece, che da sempre aveva desiderato viaggiare e scoprire il mondo, si trasferì ad Amburgo per frequentare la scuola navale. Nel 1869 poi, una volta passato l’esame di fine corso, s’imbarcò sulla nave Guglielmina diretta in Sudamerica.
I progetti dei due fratelli vennero sconvolti un anno dopo dallo scoppio della guerra franco-prussiana. Frederick fu chiamato al fronte, dove si sarebbe guadagnato i gradi di tenente colonnello. Gustav, che non aveva ancora 18 anni, poté imbarcarsi sulla Beacon Light diretta a Rangoon. Proprio il naufragio di questa nave carboniera lo costringerà a trascorrere alcune settimane sull’isola di Tristan da Cunha, dove scoprirà dell’esistenza di Inaccessible Island.
L’impresa in mezzo all’oceano
Conclusosi il conflitto franco-prussiano, i fratelli Stoltenhoff si ritrovano ad Acquisgrana. Non hanno un lavoro e nemmeno dei progetti, ed è così che partoriscono la folle idea. Gustav, che ha sentito i racconti degli abitanti di Tristan da Cunha sulle foche di Inaccessible, propone al fratello di stabilirsi sull’isola per cacciarle e arricchirsi vendendo le loro pelli e il grasso, due merci molto richieste all’epoca.
Dopo un viaggio durato mesi, nel 1871 raggiungono Tristan e poi Inaccessible. Con sé hanno una goletta, un cagnolino, provviste di cibo e vari materiali per costruirsi una casa sull’isola. Il progetto imprenditoriale fallirà presto, per via delle difficoltà legate al clima e alla conformazione dell’isola. Ma gli Stoltenhoff rimarranno comunque soli sull’isola deserta per quasi due anni, per fare ritorno a Città del Capo nel 1873 a bordo della HMS Challenger. L’unica che traccia che hanno lasciato nell’arcipelago è un isolotto che porta il loro nome, posto qualche miglio nautico a sud di Inaccessible.
Il libro «riscoperto»
Tutto questo, oltre naturalmente alle avventure vissute dai fratelli nei quasi due anni trascorsi sull’isola, è raccontato ne L’isola inaccessibile, edito da Ciost Edizioni e appena presentato al Salone del Libro di Torino. Ad aver riscoperto il testo, pubblicato in inglese da Eric Rosenthal nel 1952 e poi dimenticato, il giornalista Francesco Moscatelli. «Il testo di Rosenthal non ha la potenza di un romanzo e non ha nemmeno l’ambizione di esserlo» spiega: «La sua forza è un’altra: racconta una storia, una storia vera, la storia di due fratelli che hanno sfidato loro stessi e la natura».
Una vicenda a suo modo universale. «La fame di avventura e la fascinazione per ciò che è lontano da noi sono insite nell’animo umano: rappresentano una di quelle fiammelle che ci tengono vivi» prosegue Moscatelli. «Un secondo aspetto che mi ha colpito da subito è stato il progressivo scivolare degli Stoltenhoff da un obiettivo concreto (cacciare foche e arricchirsi) a uno molto più intangibile come il mettersi alla prova per il solo gusto di farlo. Sarebbero potuti rientrare dopo pochi mesi, ma continuarono a rimandare. Questa testardaggine li rende interessanti e secondo me modernissimi: è raro trovare qualcuno capace di gustarsi la bellezza del fallimento».