Mario Deaglio
Siamo bombardati di dati economici, specie in questo periodo in cui è necessario mettere assieme la legge di bilancio. Proprio per questo, la prima tentazione di chi guarda i dati economici resi pubblici dall’Istat ieri pomeriggio è di darsi un pizzicotto per sapere se è davvero sveglio. L’inflazione tendenziale (ossia rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) sembra sparita: +1,8% cento rispetto all’ottobre 2022 con una caduta verticale dal +5,3% del mese precedente.
Che cosa è successo? È scomparsa la malattia che ci ha tanto assillato? Purtroppo non è così: miglioramento è pressoché interamente dovuto alla caduta dei prezzi dei prodotti energetici passati da un indice di 180 un anno fa a un indice di 145 nel mese appena concluso, una diminuzione di circa il 17% che, pur senza attirare troppa attenzione da parte dei media, ha fatto respirare molti bilanci famigliari. Se si calcola l’inflazione di fondo, ossia togliendo dalla misurazione le due maggiori voci – come è comune fare negli studi degli enti internazionali – il progresso è molto ridimensionato: nell’ultimo mese l’inflazione si è ridotta dello 0,2%, collocandosi a +3,7%.
Come dire: la febbre è quasi scomparsa, ma il paziente è ancora positivo al virus. È molto probabile che la Bce non somministri più, almeno per uno o due mesi, la dura medicina del rialzo dei tassi ma non illudiamoci che l’economia e i bilanci famigliari possano ricominciare a dar segni di vivacità e per la spesa pubblica sappiamo già che non sarà così. Purtroppo, in un mondo caratterizzato dall’incertezza, è sufficiente un qualsiasi avvenimento internazionale che crei anche solo il sospetto di nuovi disordini nelle forniture di gas e petrolio, perché l’inflazione rimbalzi subito. E quella italiana rimbalzerebbe da un livello ancora abbastanza elevato in campo europeo: la cosiddetta “inflazione acquisita” nei primi dieci mesi del 2023 èdel 5,7%.
L’economia italiana sembra così un malato in semi-convalescenza, un’impressione rafforzata dal fatto che la crescita del Pil del 2023 sembra destinata a fermarsi al +0,7%, in netto arretramento dalle stime di inizio anno, un valore insufficiente a inserire davvero il “paziente Italia” sulla via della guarigione. Va inoltre considerato che gli aumenti del Pil sono concentrati nella prima parte dell’anno. Poi non c’è stata una frenata, ma un “dolce arresto”, come quello di un’auto che non ha più una goccia di benzina nel serbatoio.
Purtroppo, nella legge finanziaria, in faticosissima gestazione, non si trova quasi alcun provvedimento che sia specificamente indirizzato a garantire questa ripartenza ma solo un galleggiamento garantito da un ulteriore, sensibile indebitamento pubblico. Se il mal comune fosse mezzo gaudio, come dice il proverbio, dovremmo trovare un minimo di consolazione nel fatto che molti altri paesi dell’Ue si trovano in una situazione non molto dissimile. Il rallentamento sta toccando pressoché tutti e per la Germania, con la maggiore economia del gruppo, si è veramente al limite della recessione; in tutti ci vorrebbe un’azione governativa più incisiva, in tutti è difficile realizzarla.
L’Italia ha una particolarità che negli ultimi tempi non ha attirato l’attenzione più di tanto: i dati sull’andamento produttivo non comprendono la cosiddetta economia non osservata, la cui caratteristica più nota è rappresentata dal lavoro nero (sono invece comprese in questa definizione anche alcune attività perfettamente lecite, come gli orti domestici). Le stime dell’economia non osservata non sono certo precise e richiedono molto tempo. L’ultimo calcolo dell’Istat, relativo al 2021, mostra un aumento che probabilmente è proseguito anche negli anni successivi e un livello alquanto superiore a quello delle altre grandi economie della Ue e il tutto sembra localizzato soprattutto nei servizi. Anche in questo caso, sarebbe stato ragionevole attendersi qualche azione decisa per recuperare l’evasione fiscale diffusa in certi settori produttivi, ma pressoché tutto, nei provvedimenti che stanno per essere presentati al Parlamento, è stato lasciato com’era.
Pur essendosi in parte estesa anche ad alcuni settori caratterizzati da redditi medi, l’economia non osservata comprende soprattutto un gran numero di attività lavorative dai redditi bassi. E in questi casi fa spesso rima con povertà. Secondo la definizione attuale sono in povertà assoluta le famiglie e le persone «che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile». La soglia della povertà assoluta per una famiglia di due persone è un reddito di poco superiore ai 1100 euro al mese e il numero delle persone residenti in Italia che si trovano in questa condizione è salito nel 2022 al 9,7% rispetto al 9,1% dell’anno precedente.
Al termine di questa carrellata il lettore potrà essersi fatto un’idea della complessità dei problemi economico-sociali che l’Italia ha davanti. E speriamo anche che si convinca che non esistono soluzioni miracolistiche a questa situazione. Dobbiamo armarci di pazienza e andare verso una direzione ragionevole.