Carceri, migranti e clima, le “patrie” opposte di Mattarella e Meloni
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di Margherita De Bac
Dalle prenotazioni ai Lea, perché la riforma del governo non decolla. Le disparità tra Regioni. L’appello di Mattarella
ROMA Alzi la mano il governo che non abbia dovuto vedersela col taglio delle liste di attesa, spina nel cuore di ogni sistema universalistico. Quello guidato da Giorgia Meloni ha risposto all’emergenza con la riforma del 7 giugno 2024. Quando un mese e mezzo dopo il decreto è stato convertito in legge, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha suonato le campane: «Per la prima volta la nazione ha un progetto strutturale con misure concrete». Peccato che, come ha riferito lo scorso novembre lo stesso ministro rispondendo a un’interrogazione parlamentare, i decreti attuativi non abbiano ancora visto la luce. Intoppi frequenti in un’Italia posseduta dalla burocrazia e dal ping pong fra organismi tecnico-amministrativi. Adesso però assicura lui «siamo in dirittura d’arrivo».
Cosa è cambiato finora in concreto per i cittadini? Poco, in generale, fermo restando che esistono Regioni già avanti nel percorso individuato dal decreto. E nulla sul piano della disponibilità di dati ufficiali, raccolti con un metodo uniforme in ogni parte d’Italia. Oggi si va avanti per aneddoti e narrazioni. Le piattaforme online aggiornate dalle Regioni continuano a essere di «difficile consultazione e evidenziano una profonda disomogeneità sulla modalità di restituzione dei tempi d’attesa, rendendo molto difficile il confronto tra le diverse realtà». Un «dramma» citato dal presidente Mattarella nel discorso di fine anno quando ha voluto sottolineare che «numerose persone rinunciano alle cure perché prive di mezzi necessari». Sono il 7,6% della popolazione secondo il Cnel nella relazione del 2024, pari a 4,5 milioni di cittadini.
Nella riforma c’è l’obbligo per le Regioni di creare un centro unico di prenotazione capace di «vedere» le agende di tutti gli ambulatori pubblici e privati-convenzionati. Possibilità di tenere le strutture aperte nel fine settimana. Attivare un sistema di disdetta delle prenotazioni che consenta di riempire i posti rimasti vuoti. Divieto di sospendere l’attività di prenotazione. Se il cittadino non viene soddisfatto entro i tempi previsti (72 ore se la prestazione è urgente, 10 giorni se è in classe Breve, 30-60 giorni per visite e esami diagnostici, 120 giorni i programmabili) deve automaticamente trovare risposta in una struttura privata convenzionata, o nell’ambito dell’attività professionale svolta dal medico all’interno dell’ospedale. Il Cup, centro unico di prenotazione, in certe zone d’Italia è un perfetto sconosciuto. Prendiamo ad esempio il Lazio. A oggi la metà delle agende sono state caricate nel sistema unico. A ottobre 399 mila prestazioni non erano state prenotate entro i tempi di garanzia e l’ente guidato da Rocca ha stanziato 17 milioni per garantirle. Punti dolenti, colonscopia, Tac, risonanza magnetica e visite oculistiche.
I nodi
Mancano i decreti attuativi. Il ruolo delle cliniche e le critiche dell’opposizione
Se le Regioni sono inadempienti un organismo di verifica e controllo può esercitare potere sostitutivo. La legge di Bilancio 2025 ha aumentato il limite di spesa da parte del servizio sanitario per l’acquisto di prestazioni al privato accreditato dello 0,5%, norma che ha fatto gridare allo scandalo l’opposizione: «Favoriscono le cliniche». Le amministrazioni virtuose riceveranno un premio di 50 milioni quest’anno e 100 milioni dal 2026.
Il problema delle liste di attesa richiamato da Mattarella è frutto di una serie di storture che mandano in tilt il meccanismo attraverso il quale il cittadino si rivolge al servizio pubblico: la carenza di medici (che soprattutto per motivi economici si dimettono e passano al privato) e infermieri, la disorganizzazione di alcune aziende sanitarie, gli sprechi, la non ottimizzazione delle risorse utilizzate. In questa lista non vanno dimenticate le apparecchiature obsolete. E poi c’è la medicina difensiva. L’Italia spende circa 13 miliardi per rimborsare il costo di visite e esami diagnostici evitabili, prescritti in modo inappropriato, in eccesso. Una pratica legata alla volontà da parte del medico di tutelarsi dalle denunce dei pazienti. Ogni anno sono 350 mila le cause penali intentate contro la categoria, il 97% terminano con assoluzione.
Il Tar deciderà a fine gennaio sull’applicazione del nuovo Nomenclatore che aggiorna le tariffe e l’elenco delle prestazioni convenzionate con Il Ssn. I privati contestano di non potersi affiancare o sostituire al pubblico perché i rimborsi sono esigui e non coprono i costi. Tesi negata dal governo.