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28 Novembre 2024Destra divisa, Meloni furiosa
28 Novembre 2024di Marcello Sorgi
Dicono che sul momento Meloni se la sia presa, ma poi non più di tanto. «Se si è arrivati a un accordo per il cessate il fuoco in Libano, possiamo farlo anche sulla Rai», è stato il suo commento. E se è arrivata a commentare così la mattinata in cui il destra-centro è andato sotto due volte, una, appunto, sul canone per la tv di Stato, e un’altra su un emendamento che riguardava la Calabria (vendetta parlamentare di Salvini contro una regione dove il governatore è di Forza Italia e contro Tajani che aveva affossato poco prima il taglio del prezzo dell’abbonamento Rai), vuol dire che sotto sotto alla premier va bene così: i due vicepremier i conti tra loro se li sono regolati da soli. Accontentare Salvini, che premeva per il taglio da 90 a 70 euro del canone, sarebbe costato oltre 400 milioni, da reperire in una legge di stabilità calcolata al millesimo.
Che poi Tajani, solitamente contrario a qualsiasi tensione con Meloni, si sia mosso anche su input dei fratelli Berlusconi, azionisti di riferimento del suo partito, è possibile. Verosimile, se non altro, dato che l’eventuale taglio avrebbe spinto la Rai a cercare maggiori risorse sul mercato pubblicitario, andando a toccare gli interessi di Mediaset e della famiglia del fu-Cav. Ma che Tajani si sia mosso a sorpresa, questo no, non è credibile. Da giorni il ministro degli Esteri insisteva perché il dossier Rai fosse chiuso in anticipo sugli accordi finali sulla manovra. Ed è probabile che alle dichiarazioni pubbliche avrà accompagnato interventi riservati sulla premier. La quale, pressata da Salvini, stavolta non è stata in grado di accontentare il suo vicepremier più fedele. Si è rimessa al fato, ma non senza calcolare le conseguenze, non del tutto negative di un eventuale agguato parlamentare come quello che puntualmente si è verificato.
Resta fermo tuttavia che i rapporti interni alla coalizione – come conferma anche l’andamento delle votazioni sulla Commissione bis di Von der Leyen a Strasburgo, con Salvini che ha votato contro, mentre Meloni e Tajani, con l’esplicito aiuto del Pd a favore – continuano a non essere buoni. In poche parole, ognuno si fa i fatti suoi. E se puta caso Meloni dovesse rassegnarsi a nominare un sostituto di Fitto, andato in Europa, la rissa non potrà che riaccendersi.