Il 2022 si chiude con un Occidente sorprendentemente isolato. No, non stiamo assistendo a quel tramonto troppo prematuramente predetto da Oswald Spengler.
L’Occidente è oggi sperduto perché non è riuscito ad imporre la sua egemonia politica e culturale su un pianeta turbolento e contraddittorio, ma anche dinamico e pieno di aspettative.
Ne abbiamo avuto chiaro sentore quando una potenza in declino da decenni coma la Russia ha deciso di invadere l’Ucraina. Era lecito aspettarsi una levata di scudi in tutti i continenti, perché era nell’interesse di ciascuna nazione riaffermare il principio di sovranità. Ed invece, Paesi estranei al conflitto e che non avevano espliciti interessi né a favore della Russia né a favore dell’Ucraina sono rimasti inerti ad assistere. Quando l’Assemblea Generale è stata chiamata ad esprimersi sulle risoluzioni 2 marzo e del 12 ottobre 2022, il blocco atlantico ha messo insieme più di 140 paesi, ma c’è stato un fronte consistente di 35 astenuti, tra i quali Cina, India, Pakistan e Sud Africa. E anche tra i 140 voti favorevoli, non sono mancati gli scettici, i quali hanno borbottato che una maggiore ragionevolezza da tutte le parti avrebbe evitato un conflitto che ha messo inutilmente in ginocchio l’economia mondiale.
Nessuno meglio di Antony Blinken, il Segretario di Stato statunitense, ha chiarito l’importanza di opporsi all’invasione del Cremlino: «Difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina a proteggere un ordine internazionale in cui nessuna nazione può ridisegnare i confini di un’altra con la forza».
Chi l’ha ascoltato non ha potuto fare a meno di rivolgere il proprio pensiero alle invasioni guidate dagli stessi Stati uniti nei confronti di Afghanistan e Iraq. La prima compiuta con l’appoggio pressoché unanime dell’Occidente, la seconda aveva già 20 anni fa diviso l’Occidente e l’Unione europea. Putin in Ucraina non ha fatto insomma nulla di diverso di quello che gli Usa, in associazione con la Nato, hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Ce lo ricorda ora un voluminoso volume di Daniele Ganser, uno storico proveniente da uno dei pochi Paesi rimasti neutrali, la Svizzera (Le guerre illegali della Nato, Fazi, 2022), e che forse proprio per questo si può permettere il lusso di guardare con maggior distacco alle vicende geopolitiche globali.
Incapacità dell’Occidente di esercitare la propria egemonia politica e culturale, ho detto, ma anche di imporre una egemonia militare. Dopo vent’anni di guerre, le truppe dell’Occidente si sono ritirate con la coda tra le gambe dall’Iraq e dall’Afghanistan, lasciando quei due Paesi in una condizione addirittura analoga a quella del passato. Dimostrando che il potere militare, senza egemonia politica, non riesce più a raggiungere i propri obiettivi.
Vediamo proprio in questi giorni quanto ci sia bisogno di affermare i valori della libertà in Paesi che ne sono privati. In Iran le donne stanno tentando di liberarsi dalla costrizione del velo e in Afghanistan non vogliono rinunciare al proprio diritto di studiare. Si tratta di diritti che in Occidente si sono imposti a seguito di decenni di conflitti e battaglie. I manifestanti a Teheran e a Kabul hanno oggi bisogno del nostro sostegno, eppure sono ben consapevoli che quel che è stato finora fatto dall’Occidente è stato a volte inutile, altre addirittura dannoso. È dal 1980 che gli Stati uniti applicano sanzioni contro l’Iran senza che esse siano riuscite a conseguire alcun risultato interno, per non parlare poi del totale fallimento del tentativo di voler rimuovere i talebani dall’Afghanistan.
Se oggi l’asse atlantico intende veramente affermare la propria egemonia, dovrebbe prima di tutto ricercarla sul piano culturale, politico ed economico assai più che su quello militare. E mi permetto di dare qualche piccolo suggerimento per il 2023.
Che tutti i Paesi della Nato si impegnino a raggiungere la quota di Aiuto Pubblico allo Sviluppo dello 0,7 per cento del PIL, come richiesto dalla Assemblea Generale delle Nazioni unite, privilegiando i Paesi che hanno programmi di sviluppo pacifici e che rispettano i diritti umani.
Che il Parlamento europeo assegni il prossimo Premio Sacharov a Julian Assange, Chelsea Manning e Eric Snowden. È assai facile premiare, come è stato fatto nell’ultimo decennio, i dissidenti dei Paesi avversari, ma molto più utile farlo con quelli di casa propria.
Che gli Stati uniti aderiscano finalmente alla Corte penale internazionale, accettando che i propri funzionari possano essere giudicati come quelli di tutte le nazioni.
Che gli Stati uniti mettano fine al bloqueo nei confronti di Cuba e attivino invece un processo di riconciliazione tra la comunità interna e gli espatriati in Florida.
Che l’Unione europea attivi un programma di accoglienza dei rifugiati dal Mediterraneo, come indicato dalla Carta di Lampedusa.
E chissà che dopo qualche decennio di politiche di questo tipo, i Paesi emergenti, invece di ritenere l’Occidente un avversario che intende ostacolare il proprio sviluppo, decidano di abbracciare incondizionatamente i suoi valori di libertà e democrazia.