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20 Novembre 2022L’Italia e i Mondiali in Qatar: dagli stadi alle armi
21 Novembre 2022La Coppa del Mondo di Qatar 2022 non è una novità di cui avere paura. Qatar 2022 è la sintesi della storia di centocinquanta anni di calcio. Di questo dovremo avere terrore
Domenica 20 novembre 2022, nello stadio Al-Bayt di Al Khawr, baia che affaccia sul Golfo Persico da quella escrescenza di terra della Penisola Araba che è lo stato del Qatar, alle ore 19 locali, l’intera popolazione terrestre precipiterà nel buco nero pallone. Quando l’arbitro fischierà il calcio di inizio di Qatar-Ecuador, partita inaugurale della Coppa del Mondo di calcio di Qatar 2022, una manifestazione che gronda del sangue di migliaia di lavoratori migranti morti nei cantieri, e non solo, saremo costretti ad assistere a quella particolare curvatura dello spazio-tempo in una regione oltre la quale non è più possibile osservare alcun fenomeno. Nulla. Si chiama orizzonte degli eventi.
Si ipotizza che questa particolare regione abbia forma sferica, proprio come un pallone da calcio. E al suo centro ci sia una densità tale che sia impossibile da comprendere secondo le leggi della fisica. Così, quando l’arbitro fischierà, il primo giocatore toccherà la palla e comincerà il Mondiale, non saremo più in grado di osservare nulla. Ma se questa competizione è l’orizzonte dei grandi eventi sportivi, significa che non è la prima di un nuovo mondo, ma l’ultima del mondo che abbiamo sempre conosciuto. La Coppa del Mondo di Qatar 2022 non è una novità di cui avere paura. Qatar 2022 è la sintesi della storia di centocinquanta anni di calcio. E di questo, dovremo avere terrore.
Corruzione
Sembra un film di Hollywood. All’alba del 27 maggio del 2015 la polizia svizzera su richiesta dell’Fbi entra in un lussuoso hotel di Zurigo dalla maestosa facciata neoclassica che si rispecchia nel lago. Armi in pugno, arresta i mammasantissima della Fifa. La federazione mondiale che governa il calcio, conta più paesi affiliati dell’Onu (211 a 193) e ha la sede in Svizzera, cuore poco neutrale dell’Occidente. È la Fifa a organizzare ogni Mondiale, dal 1930. Quella mattina in sette escono in manette e sono caricati su auto blindate dai vetri oscurati. Subito il presidente della Fifa, lo svizzero Joseph Blatter, e quello della Uefa, il francese Michel Platini, esprimono vergogna per il comportamento scorretto dei loro colleghi. Saranno inquisiti, arrestati e squalificati anche loro.
L’inchiesta dell’Fbi però non è su Qatar 2022, come molti pensano, ma è sull’intero sistema calcio. O meglio, quell’inchiesta è anche su Qatar 2022, parte da Qatar 2022. Ma paradossalmente trova le prove che c’è stata corruzione per l’assegnazione dei Mondiali del 2006 in Germania – quelli del «cielo azzurro sopra Berlino» e di Fabio Cannavaro che alza la coppa – e dei Mondiali del 2010 in Sudafrica – quelli della rinascita, delle vuvuzela, dei colori e della riconciliazione. Ma non per Qatar 2022. Perché è stato tutto regolare? Ovviamente no, perché è stato tutto fottutamente complesso. Di una densità assoluta. Come il centro di un buco nero.
Sedici dei ventidue delegati che il 2 dicembre 2010 al Congresso della Fifa decidono di assegnare i Mondiali del 2018 alla Russia e quelli del 2022 al Qatar sono stati sospesi o radiati. Da quel dicembre del 2010 saltano tra gli altri Sepp Blatter, per un ventennio plenipotenziario della Fifa. Michel Platini, tre volte Pallone d’Oro da giocatore e poi presidente della Uefa, delfino e successore annunciato di Blatter alla Fifa. Mohammed bin Hammam, capo assoluto della federazione calcistica dell’Asia e Jack Warner, dittatore unico della federazione del Centro e Nord America. I nomi più importanti del calcio globale.
Insieme a loro sono arrestati, condannati, squalificati e radiati decine di dirigenti delle varie federazioni calcistiche, delle società e delle aziende che si occupano della compravendita dei diritti televisivi. Perché il Qatar si è comprato i Mondiali? Probabile, ma per una serie di motivi (la Fifa ha ritirato alcune denunce, altri processi sono ancora in corso) questo non è ancora stato dimostrato. Al contrario è stato certificato che l’assegnazione dei Mondiali del 2018 e del 2022 abbiano tentato di comprarsela tramite corruzione Inghilterra e Stati Uniti. Ma qualcuno deve aver offerto di più. Chissà chi. Per questo le inchieste – vedi anche il ruolo dell’Fbi – sono partite dai due paesi atlantici, cornuti e mazziati. Le due democrazie hanno pagato, corrotto, e si sono viste sfilare le competizioni a favore di paesi non democratici come Russia e Qatar. Un paradosso. Uno smacco per le libertà occidentali.
Per non parlare del ruolo della Francia. Quella che oggi è in prima linea a criticare, giustamente ci mancherebbe, il mancato rispetto dei diritti umani in Qatar. Perché tutto nasce a Parigi, due settimane prima. Tra i marmi e gli arazzi dell’Eliseo, il 23 novembre 2010, si trovano a cena l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, l’allora principe erede e oggi emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, e il numero uno della Uefa Michel Platini. In quella cena sono gettate le basi per l’ingresso del Qatar nel mondo del pallone e per l’assegnazione dei Mondiali. Da lì partono una montagna di soldi. L’acquisto del Psg. La sponsorizzazione di diversi club, tra cui il Barça. La creazione di BeIn, costola sportiva di Al Jazeera che inonda di soldi per i diritti tv la Champions League e le altre manifestazioni con patrocinio Uefa. E ovviamente l’organizzazione dei Mondiali del 2022. Contestualmente, gli investimenti qatarioti in Francia, tra edilizia e acquisizioni di marchi e aziende, raggiungono i 20 miliardi dollari. Un caso.
Autorità
Ci sarebbe anche la questione politica. L’esplosione sempre nel 2010 delle primavere arabe, che certo non dispiacciono al Qatar, storico alleato degli Usa nella regione. La conseguente rottura dei rapporti diplomatici sempre tesi con Arabia Saudita e Emirati Arabi. Poi rientrata. Ma se è vero che il pallone è da sempre uno strumento politico, basti pensare ai Mondiali serviti su un piatto d’argento alla dittatura italiana nel 1934 e 1938, a quella brasiliana nel 1970 e a quella Argentina nel 1978, qui si rischia di entrare in altre galassie. Ritorniamo alla Francia. Settimana scorsa, un tribunale di Nanterre ha aperto un’istruttoria contro una multinazionale francese dell’edilizia con l’accusa di aver costretto i suoi dipendenti a «condizioni di lavoro o di vita incompatibili con la dignità umana».
La Vinci Construction Grands Projets tramite una sussidiaria locale, la Qdvc, si è occupata della gestione di tre siti per i Mondiali. Grazie al lavoro e alla protezione di alcune Ong come Sherpa e Comité contre l’esclavage moderne, una decina di lavoratori migranti impiegati nei cantieri della multinazionale francese hanno denunciato al tribunale di Nanterre la requisizione dei passaporti, le pessime condizioni di lavoro, fino a 80 ore la settimana, la condizione degli alloggi, container bollenti e senza servizi igienici, e la mancanza di qualsiasi tutela sanitaria o contro gli infortuni. Schiavitù neocoloniale in salsa occidentale. Il Qatar è cosa nostra. È la periferia di Los Angeles, Parigi, Roma.
Anche qui basterebbe rileggersi le controinchieste sulle morti bianche nei cantieri dei Mondiali di Italia ’90 – quelli delle «notti magiche» che oggi tutti ricordiamo con nostalgia – per accorgersi che le decine di operai morti nei cantieri diventano centinaia se si tiene conto delle infrastrutture, e i feriti gravi migliaia. Per non parlare degli episodi di corruzione, degli appalti truccati, dei soldi pubblici deviati dalla scuola e dalla sanità verso la costruzione di quelle enorme cattedrali di cemento. O delle migliaia di morti provocate dai cantieri di Brasile 2014. E ovviamente il Qatar, summa di tutti i grandi eventi sportivi, buco nero che si agita nel cuore dell’universo del pallone, non può essere da meno.
Secondo le indagini del quotidiano The Guardian e di Ong come Amnesty International e Human Rights Watch, negli ultimi dieci anni sarebbero oltre 6.500 gli operai morti nei cantieri per la costruzione dei nuovi stadi, delle infrastrutture, degli alberghi, dei campi di allenamento e dei siti per stampa e tifosi che servono a far funzionare la Coppa del Mondo di Qatar 2022. Un numero spaventoso. A cui si aggiunge un doppio livello di sfruttamento neocoloniale. Il primo è che i lavoratori sono tutti migranti provenienti dai paesi africani o dal sudest asiatico, che per la legge della kafala (abolita? allentata? o forse sarebbe meglio dire sospesa per la durata delle partite?) possono essere privati dei documenti e della dignità, diventando a tutti gli effetti proprietà del datore di lavoro.
Il secondo, come abbiamo visto, è che a dirigere i cantieri ci sono diverse multinazionali occidentali, degli stessi paesi che prima delle partite leggeranno commossi comunicati contro le condizioni di sfruttamento dei lavoratori in Qatar. Perché se l’impunità e l’extra territorialità sono state per secoli le condizioni dello sviluppo coloniale dei paesi occidentali, la Fifa non è da meno. Come in tutti i grandi eventi sportivi, anche durante i Mondiali di calcio vige un sistema di extraterritorialità fiscale e spesso penale. Per cui insieme ai guadagni della Fifa – organizzazione senza scopo di lucro (incredibile ma vero!) che negli ultimi vent’anni è passata da fatturare 2,5 miliardi l’anno a circa 7 previsti per il prossimo consuntivo – anche quelli degli sponsor occidentali come Coca-Cola, Budweiser, Adidas, Visa e McDonald’s saranno protetti.
Lo scorso maggio il presidente della Fifa Gianni Infantino, presente nelle stanze del potere fin dall’inizio della vicenda, e che con una serie di spericolate mosse è riuscito a uscire pulito e profumato da tutte le inchieste, ha risposto così a chi gli chiedeva conto dei morti sul lavoro: «Seimila persone potrebbero essere morte, ma Fifa non è la polizia del mondo o responsabile di tutto ciò che accade nel mondo. […] Non dimentichiamo una cosa, stiamo parlando di lavoro, anche un duro lavoro. Quando dai lavoro a qualcuno, anche in condizioni difficili, gli dai dignità e orgoglio. Aver costruito gli stadi dove si disputeranno i Mondiali è anche una questione di orgoglio e di aver potuto cambiare le condizioni di questi 1,5 milioni di persone è qualcosa che rende orgogliosi anche noi». Perché Gianni Infantino ama il Qatar. Tanto che da gennaio 2022 ne è diventato ufficialmente cittadino e vive felice a Doha con la famiglia. Doha, periferia di Zurigo.
Annientamento
La Coppa del Mondo che comincia domenica è quindi il lineare proseguimento di tutte quelle precedenti. Solo, accelerata all’ennesima potenza. Su un’altra e decisiva questione infatti, questi maledetti Mondiali sono all’avanguardia. Il disastro climatico provocato per la gioia degli sponsor e delle televisioni. Venduti come una manifestazione a impatto zero, è stato facile dimostrare come la rivendicazione di essere il primo grande evento sportivo carbon neutral, rilanciata dalla Fifa e accolta dalla stampa di tutto il mondo, poggiasse su uno schema fin troppo facile. Quello della compensazione dei crediti inquinanti che permette a qualsiasi multinazionale stia devastando l’ecosistema di risultare pulita.
Una complessa architettura finanziaria per cui non serve nemmeno più piantare degli alberi. Basta acquistare dei certificati, dei crediti puliti futuri che non ci sono ancora, ma forse un giorno ci saranno. La Ong Carbon Market Watch ha stimato in almeno 1,4 milioni di tonnellate di CO2 il costo ambientale per la costruzione delle infrastrutture necessarie ai Mondiali, con una cementificazione di almeno 8 milioni di metri quadrati. Ma alla fine basta vendere il tutto come a impatto zero, e raccontare che i seggiolini degli stadi sono di plastica riciclata. D’altronde che il greenwashing sia la più grande operazione di marketing del presente è sotto gli occhi di tutti. E l’ennesimo fallimento della Cop27 è qui a dimostrarlo.
Ma qui non si tratta solo di operazioni di marketing o pubblicità organizzate dagli spin doctor occidentali per proteggere uno dei nostri maggiori fornitori di petrolio e gas liquido – il Qatar detiene circa il 13% delle riserve mondiali sul pianeta – ovvero il motore del nostro sistema di sviluppo basato sulle energie fossili. Qui è a rischio l’ecosistema terrestre. Perché per costruire, innaffiare, mantenere i campi di calcio e per dissetare e lavare il milione di persone che per 28 giorni invaderà il paese e raddoppierà la popolazione locale, servirà tantissima acqua. E nel deserto l’acqua è un problema.
Ecco allora la necessità di immensi impianti di desalinizzazione delle acque del Golfo. Strutture che di per sé sono assai inquinanti, perché sono alimentati da gas e petrolio, almeno 300mila barili al giorno per ogni singolo impianto. E il processo stesso di desalinizzazione è un procedimento tossico e inquinante, un processo estrattivo che provoca l’annientamento totale della vita. Prima dell’acqua, e poi degli esseri umani del pianeta terra che da essa dipendono. L’acqua potabile dal mare si ottiene infatti attraverso una quantità di reagenti chimici e inquinanti che finiscono nel mare devastandone i delicati equilibri, e uccidendone la vita.
Per mantenere liscio e fresco il solo manto erboso dello stadio Al-Bayt di Al Khawr, dove domenica alle ore 19 locali l’arbitro darà il fischio di inizio della partita inaugurale della Coppa del Mondo tra Qatar e Ecuador, alla presenza delle autorità dello sport e della politica mondiale, ci vogliono 50 mila litri di acqua ogni giorno. La somma dei litri di acqua necessari su ogni campo per ogni partita per ogni giorno, cui vanno aggiunti tutti i campi in erba per gli allenamenti delle 32 squadre partecipanti e a cui vanno aggiunti i campi tenuti di riserva nelle serre, in caso qualcosa non dovesse funzionare, non dà un numero. Per quanto impressionante, non è calcolabile. Come la densità del buco nero. Il risultato sono due parole: devastazione climatica. Oppure una sola: annientamento.
Accettazione
Per questo la Coppa del Mondo di Qatar 2022 è un confine che non si può superare, oltre il quale c’è il nulla. Come nella Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer però, dopo autorità e annientamento arriva l’accettazione. Se da un lato è difficile accettare tutto quello che è stato scritto sopra, dall’altro non si può nemmeno chiudere gli occhi. E non vederlo. Anche perché, secondo la stessa fisica che studia l’universo e i buchi neri, è l’osservatore a intervenire nel processo fisico che accade davanti ai suoi occhi. Perché il processo cambi, l’osservatore deve essere presente, deve guardare. Solo così può mutare il corso degli eventi. Perché il fatto è che questi Mondiali non sono un’eccezione, un’anomalia rispetto a una possibilità diversa. Sono né più né meno la prosecuzione, aumentata e accelerata, di tutto quello che è stato il gioco del calcio negli ultimi centocinquant’anni.
I grandi eventi sportivi hanno sempre appoggiato i peggiori governi e le peggiori dittature, hanno arricchito palazzinari, speculatori e multinazionali a scapito della popolazione locale che si è vista togliere case, scuole, servizi e ospedali. Il problema non è Qatar 2022 ma è la questione in sé del grande evento e del suo orizzonte, della curvatura dello spazio-tempo in una regione dalla quale non è più possibile tornare indietro. Il grande evento che è l’emblema del nostro modello di sviluppo, non di quello dei paesi che li ospitano, spesso semplici vassalli di interessi che sono altrove. Nel caso dei Mondiali di Qatar 2022 poi, sono evidenti le responsabilità occidentali: dalla corruzione nelle procedure di assegnazione, alla moderna schiavitù in cui versano i lavoratori, fino all’impatto ambientale e alla devastazione climatica.
Si può accettare acriticamente tutto ciò e trasferirsi in Qatar, come ha fatto Gianni Infantino. Oppure si può rifiutare l’accettazione. Essendo però consapevoli che tutto questo non comincerà domenica 20 novembre 2022, alle ore 19 locali allo stadio Al-Bayt di Al Khawr. E non è cominciato nemmeno il 2 dicembre 2010 quando sono stati assegnati i Mondiali. O il 23 novembre 2010 quando c’è stata la cena all’Eliseo. Tutto questo è cominciato il 26 ottobre 1863, quando in un pub londinese dal nome evocativo, la Freemason Tavern, fu creata la Football Association e furono stabilite le regole del gioco. E quello che abbiamo raccontato non è confinato solo nei dodicimila km quadrati su cui si estende la penisola qatariota. Ma è accaduto a casa nostra, e ha a che fare con la televisione, le magliette, gli sponsor, la Champions League, la Serie A, la Premier League. Ma anche con il tifo, le curve, il calcio amatoriale e con qualsiasi sport, che dai soldi del calcio professionistico dipende.
La Coppa del Mondo di Qatar 2022 non deve diventare uno spiacevole episodio da condannare. La scusa per spegnere la televisione e sentirsi buoni e assolti, tanto poi a gennaio ricomincia il campionato. Considerare Qatar 2022 come un’eccezione è il modo migliore per rinforzare la regola. Per accettarla, come fa Gianni. Qatar 2022 è il buco nero in cui nasce il calcio, non quello in cui muore. È Sagittarius A*, il cuore del nostro e di tutti gli altri universi conosciuti. Non riuscire a osservarlo vuol dire essere già precipitati in quella curvatura dello spazio-tempo oltre la quale non è possibile osservare alcun fenomeno. E siccome l’osservatore è l’unico agente in grado di modificare i fenomeni fisici, precipitare nella regione in cui non è più possibile osservare nulla significa non essere più in grado di combattere il sistema che produce i grandi eventi.
I Mondiali di Qatar 2022 coinvolgono ogni aspetto della nostra vita sportiva, di appassionati e di tifosi. Li sublimano e li trascendono. Servono a ricordarci che la nostalgia delle notti magiche di Italia 90 o del cielo azzurro su Berlino nel 2006 sono dei falsi ricordi, sono l’invenzione di un’innocenza che non c’è mai stata. Ogni narrazione pacificata o meno sul pallone, anche le più belle e coinvolgenti, è organica al sistema malato che produce il grande evento. Non si possono estrarre a piacere cercando di purificarle, con un processo che è più estrattivo della desalinizzazione dell’acqua del Golfo. Le mani pulite le ha solo chi non se le vuole sporcare, e il pallone nasce nel fango e rotola nella merda. E allora, per parafrasare il Notturno Cileno di Roberto Bolaño, è giusto che domenica 20 novembre 2022, nello stadio Al-Bayt, si scateni la tempesta di merda.
Luca Pisapia, giornalista, ha collaborato con La Gazzetta dello Sport, il Fatto Quotidiano, il manifesto e Internazionale. È autore di Uccidi Paul Breitner (Alegre Quinto Tipo, 2018) e L’ultimo hombre vertical starring Gigi Riva (Milieu, 2020)