ANGELO DI MARINO
Con l’oro nell’anima. Le fantastiche azzurre della pallavolo salgono sul podio più alto dell’Olimpiade tenendosi per mano. Insieme, senza mai lasciarsi. Prime per sempre, riscrivono la storia dello sport italiano mettendoci tutto. Tanto, ma così tanto che le avversarie restano a guardare. Perché è bello veder giocare questa squadra, l’Italia migliore che va oltre ogni ostacolo prima ancora di mandare il pallone al di là della rete. Annichilite le americane, campionesse uscenti, a cui la squadra di Velasco rifila l’ennesimo 3-0 (25-18, 25-20, 25-17), il quinto su sei partite tutte vinte. Solo un set concesso, quello alla Repubblica Dominicana, e cinque azzurre (Egonu, Sylla, Orro, Danesi e De Gennaro) nel dream team del torneo.
Forza, classe, tanta qualità ma soprattutto testa che è quella che ti serve per arrivare così in alto, nello sport quanto nella vita. Dietro queste grandi atlete ci sono delle grandi storie. C’è chi aveva perso la speranza dopo che le era stata tolta la maglia azzurra e che invece a 37 anni si ritrova al settimo cielo, come Monica De Gennaro. Chi ha ritrovato il sorriso dopo un infortunio e uno stop lungo un’eternità che invece non è riuscito a fermare una come Sarah Fahr. C’è Myriam Sylla che adesso pensa di diventare mamma ma che non dimentica il passato «perché senza quello non sarei qui». Chi piange e abbraccia tutti senza soluzione di continuità perché la vita a 25 anni è bella così e nessuno potrà mai dirti come viverla solo perché ti chiami Paola Egonu. Chi gira con la bandiera sarda con i quattro mori annodata a quella tricolore, perché per Alessia Orro è importante da dove si viene e dove si torna dopo aver conquistato il mondo. C’è Anna Danesi che è di Roncadelle, il paese delle tre medaglie d’oro in un’Olimpiade, e che da capitana mette il titolo a questo gruppo: «Indistruttibili». La sua sul podio l’ha scambiata con Sylla, nel simulacro di una premiazione nella premiazione: «È stata la mia prima compagna di stanza. Avevamo 13 anni, ne abbiamo passate tante insieme».
Un’anima, quella che non ti impedisce di aver paura ma ti fa capire come chiedere aiuto per averne di meno. E poi magari di non averne più. «Qui e ora», l’unica regola di Julio Velasco che a 72 anni conquista l’oro più prezioso, mancato negli anni della Generazione di fenomeni e arrivato adesso camminando insieme a una fenomenale generazione di giocatrici. È il più bravo di sempre, perché non è un allenatore, non è un commissario tecnico, non è l’uomo dei time out: è Velasco. Non ce ne sono altri e quello che sa fare è un’altra cosa. Stavolta anche lui è coinvolto fino ai capelli da questa emozione, dalla storia che ha saputo scrivere in quarant’anni di sport vissuti in Italia da protagonista. Non è un caso se in una disciplina di squadra l’azzurro torna a vincere un oro olimpico dopo 20 anni (l’ultimo ad Atene con il Setterosa): ci voleva l’uomo in più per salire sul podio più alto.
«Le ragazze sono state strepitose. Non ci sono parole per dire quanto siano state brave», la gioia del primo tifoso della pallavolo, il presidente Sergio Mattarella. È una medaglia questa che tiene tutto dentro, dalle tante anime del nostro Paese all’orgoglio e la tenacia di persone prima che atlete capaci di declinare i verbi al plurale: un esempio di stile, personalità e solidarietà. Insieme, sempre.