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Missili su Ashkelon: due morti. Sale a oltre 1.200 il bilancio degli israeliani uccisi: è l’attentato terroristico più letale dopo quello dell’11/09. Pioggia di bombe sulla Striscia. Il premier Netanyahu: ferocia mai vista dai tempi della Shoah
Kfar Aza. Questo kibbutz di 750 case a poco più di tre chilometri da Gaza rischia di trasformarsi nella metafora crudele della spirale ascendente in cui l’attacco di Hamas sembra aver catapultato il conflitto israelo-palestinese. Là, fra gli scheletri di case bruciate, i bossoli abbandonati sulle strade, la sagoma minacciosa di una granata inesplosa, si è consumata la strage di decine e decine di bimbi. Dei duecento assassinati, una quarantina sono minori, ha confermato il gruppo di giornalisti a cui ieri l’esercito ha permesso di entrare per la prima volta dall’alba di sabato. Molte delle vittime erano appena dei neonati. E vari sono stati decapitati. Un dettaglio raccapricciante che ricorda il modus operandi del Daesh ma che rappresenta un inedito per Hamas.
Perché i suoi giovani, giovanissimi assalitori – elemento aggiunge orrore all’orrore – sono arrivati a tanto? Perché hanno voluto evocare la memoria recente del terrore, trasformando le vittime in messaggi? Quale strategia sta perseguendo e che fine cerca di raggiungere il gruppo armato? Di certo, da quando ha sferrato l’offensiva, quest’ultimo sta facendo di tutto per portare all’estremo la tensione con lo Stato ebraico. Come dimostra l’appello «alla mobilitazione generale del mondo arabo e musulmano» – dunque il fronte sciita, suo alleato storico, ma anche le potenze sunnite vicine a Gerusalemme, come Egitto e, ora, Arabia Saudita – in sostegno del popolo palestinese per venerdì, il giorno «dell’al-Aqsa flood». Con un messaggio diffuso sui social, nonché sul sito, il movimento islamista si è rivolto, in particolare,
ai giovani residenti in Cisgiordania e a Israele a riunirsi nella moschea di al-Aqsa per dare inizio alla «rivolta contro l’occupazione». Archiviata in fretta l’ambigua apertura di lunedì sera, dunque, Hamas sembra deciso ad alzare ancora il tiro. Ieri, ha proseguito per tutto il giorno i lanci di razzi: da nord a sud, le sirene hanno suonato in modo ininterrotto. Anche Tel Aviv e il suo aeroporto sono stati colpiti. Da qui la scelta di chiudere le scuole oggi. Nel mirino, è stata soprattutto Ashkelon e il suo porto. Il gruppo estremista ha addirittura dato un ultimatum di due ore agli abitanti per lasciare la città. Quando il termine è scaduto, alle 17, ha atteso otto minuti, poi ha iniziato a sparare: due persone sono state uccise, altre sono state ferite in modo grave. Morti che si aggiungono a un bilancio di proporzioni enormi. Secondo gli ultimi dati, le vittime dell’eccidio dell’alba di sabato sono oltre 1.200, il secondo attacco terroristico più letale dopo quello alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. E in serata, il premier Benyamin Netanyahu ha detto che l’attacco di Hamas contro Israele è «una ferocia mai vista dai tempi della Shoah».
A questo si sommano i circa 200 sequestrati, il cui rilascio – ha detto Hamas – potrà essere negoziato solo alla fine delle ostilità. Cioè fra parecchio tempo poiché la dirigenza del gruppo armato si è detta « pronta a una guerra lunga». Eventualità evocata nei giorni scorsi anche dallo stesso Netanyahu e ribadita ieri dal ministro della Difesa, Yav Gallant. Quest’ultimo ha parlato di «offensiva totale»: « Hamas voleva un cambiamento a Gaza. Lo avrà e sarà di 180 gradi. Si pentirà di quel che ha fatto». Poco prima, il portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, aveva parlato dell’urgenza di mettere fine al controllo del gruppo armato sulla Striscia. « Dobbiamo eliminare la minaccia», aveva detto. Le affermazioni appaiono in linea con le scelte israeliane. Il governo ha chiamato altri 60mila riservisti che si aggiungono al record dei 300mila – su un totale di 400mila
– già mobilitati. E il martellamento sulla Striscia, sigillata da oltre 48 ore. I suoi confini sono stati minati. Nei bombardamenti sono stati uccisi più di 900 palestinesi, oltre 4mila sono stati feriti, quasi 200mila sono rimasti senza casa. Tra i morti anche il “ministro dell’Economia” dell’organizzazione, Kawad Abu Shamala, e l’esponente dell’ufficio politico, Zakaria Abu Muammar.
La gran parte delle vittime sono, però, civili, tra cui almeno 260 bambini e tre giornalisti palestinesi. Gli abitanti sono stati esortati più volte dai militari israeliani a lasciare l’enclave. L’ultima via di fuga, però, il valico di Rafah, è stata chiusa dall’Egitto, nel timore di un flusso massiccio di profughi. La situazione umanitaria di Gaza potrebbe peggiorare ulteriormente nel caso, sempre più probabile, almeno secondo gli analisti, dell’operazione di terra più volte evocata dal governo Netanyahu. E data per imminente dagli analisti. Ormai, l’esercito ha ripreso il controllo del sud dello Stato ebraico dove ha detto di avere trovato i corpi di 1.500 miliziani. Quasi tutti, cioè, quelli infiltrati. Nessun altro sarebbe riuscito a passare la barriera nelle ultime ventiquattro ore. Solo un piccolo gruppo sarebbe, dunque, rimasto all’interno.