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25 Dicembre 2025Lucio Villari, un investigatore delle mutazioni sociali
Addii Lo storico che si è interrogato a lungo sulle fragilità dell’unità nazionale e di quella europea, è morto all’età di 91 anni. Grande divulgatore, scrisse (con il fratello) il celebre manuale, partecipò al film «La terrazza» di Ettore Scola, lavorò per la Rai
Ammesso, e non concesso, che quest’ultimo, tanto più ai giorni nostri, possa darsi credibilmente una volta per sempre. Anche per questo, in fondo, Lucio Villari, dinanzi alle occorrenze e alle urgenze del tempo corrente, soprattutto negli ultimi trent’anni, aveva identificato le discrasie e le aporie sia di unità nazionale irrisolta così come di un’appartenenza europea troppo fragile per essere intesa come un orizzonte prospettico compiuto.
NELLA SUA ATTIVITÀ professionale si era diviso tra l’impegno di docente di storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma Tre e il suo pubblicismo per il quotidiano La Repubblica. Un elemento comune alle sue diverse esperienze intellettuali, al pari di molti suoi altri colleghi, era l’attenzione per la produzione letteraria, leggendo in essa, come in una sorta di specchio rovesciato, i tratti più rilevanti di un’irrisolta ricerca di significati antropologici di lungo periodo. Oltre, si intende, al colto divertissement, che comunque mai gli difettò. Il quale lo portò, tra le tante cose, a partecipare come comparsa di rilievo (laddove tutti i protagonisti erano comunque tali) al film di Ettore Scola La terrazza, del 1980. Quest’ultimo, a modo suo, una sorta di impietosa analisi, del tutto anticipatoria, dell’implosione a venire non solo dell’intellettualità comunista ma anche, se non ancora di più, del rapporto tra soggettività critica, analisi storica e progettualità politica. Quindi, tra emozioni, memoria e speranze.
Anche per questo la sua figura non può essere letta (e quindi liquidata) sotto un unico indice interpretativo. Fin troppo facile, ad oggi, identificare le aderenze e le eventuali incongruenze del suo magistero intellettuale rileggendo in un’unica luce le sue altrimenti accurate ricerche sull’industrializzazione italiana, insieme agli altri temi che, dal lascito dell’illuminismo alle culture materiali, quindi alla storia delle idee, dal passato ai giorni nostri, ne hanno attraversato la copiosa e originale produzione letteraria. Non è un caso se, insieme al fratello, sia stato autore di un fortunato e diffusissimo manuale di storia contemporanea per le scuole secondarie. Il «Villari» ha costituito a lungo un modello di divulgazione imprescindibile. Chi a tutt’oggi disdegna la comunicazione pubblica, considerandola una figura ancillare rispetto alla ricerca, ben poco concede al successo di pubblicazioni che, nel corso dei decenni, hanno comunque contribuito a formare la consapevolezza di sé di più generazioni di studenti.
Tuttavia, proprio in tale solco, nella sua ultima stagione intellettuale Lucio Villari era stato anche protagonista e membro del comitato scientifico di alcuni programmi televisivi di Rai, tra i quali Il tempo e la storia e Passato e presente.
La morte di Villari comunque segna, se così si può dire, la progressiva consunzione di una generazione intellettuale di storici, tra di loro anche di orientamento diverso, che tuttavia si ponevano il comune problema di creare un canone storiografico condiviso rispetto alla medesima storia repubblicana. Oltre che alla ricerca sul passato prossimo, a partire soprattutto da quello risorgimentale, il comune impegno era quello di trovare delle radici fondative nell’altrimenti fragile identità repubblicana.
IL FATTO STESSO che fosse nato nel 1933 a Bagnara Calabra, e che come tale avesse un’ampia conoscenza del Meridione d’Italia, costituiva forse un ulteriore elemento di indirizzo in tal senso. Poiché al netto dei populismi piagnoni e degli sterili rivendicazionismi che sarebbero poi subentrati a partire dagli anni Ottanta del secolo trascorso, Villari coglieva ancora la centralità della mediazione politica come elemento imprescindibile nella costruzione di un percorso di cittadinanza condiviso. A quella lunga stagione culturale, informata anche dagli esiti di ampia durata dello storicismo otto-novecentesco, pur con tutti i limiti del caso, si sono poi sostituiti il rimando alle identità particolariste e al discorso vittimista.
In storia così come in politica. Una campana a morto per chi, invece, da sempre ritiene che la vera dialettica sia quella che intercorre tra il determinarsi di masse storiche (ossia di comunità sociali e poi politiche progressivamente consapevoli del proprio ruolo) e poteri in via di mutamento. Le riflessioni di Villari sul secondo Settecento e poi sull’Ottocento, risorgimentale e non, si inscrivevano in questa crescente consapevolezza. All’interno di un impianto culturale senz’altro attento ai risvolti economici delle trasformazioni collettive.
ELEMENTI, questi ultimi, che spesso hanno invece faticato a trovare il giusto riconoscimento nell’equilibrio di contenuto di molti altri studi. In altre parole, alla tentazione di ricondurre la storia delle idee a un’idea della storia, l’autore ha semmai ricondotto il mutevole rapporto tra simbolico e materiale all’interno dei percorsi di sedimentazione dei legami sociali di lungo periodo.
Anche per una tale ragione il Villari della sua ultima stagione intellettuale si è lungamente interrogato, dinanzi ai mutamenti di passo della società internazionale, su quali siano i rapporti irrisolti tra appartenenza nazionale e dimensione continentale. Sul nodo dell’Europa, infatti, ha dispiegato le sue ultime riflessioni. Come tali del tutto incompiute, posto che sia l’oggetto stesso delle medesime a risultare ad oggi completamente irrisolto.





