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M.B.
Dario Nardella e Matteo Renzi, coetanei, si sono conosciuti sui banchi della facoltà di Giurisprudenza, e da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Il rapporto di amicizia e stima tra i due è diventato di lontananza, anche politica, ben più del loro inizio che pure li ha visti divisi: Renzi enfant prodige della Margherita, di cui è stato segretario provinciale a Firenze, Nardella nella scuola dei Ds, consigliere giuridico di Vannino Chiti quando l’ex presidente della Toscana era ministro per i rapporti con il Parlamento nell’ultimo governo Prodi.
Eppure Renzi nel 2009 scelse Nardella — che lo aveva appoggiato a sorpresa nelle primarie a sindaco poi vinte dal futuro rottamatore; i big del Pd si aspettavano che appoggiasse Lapo Pistelli — come vicesindaco, poi lo appoggiò come parlamentare, poi lo nominò vicesindaco reggente quando lasciò Palazzo Vecchio per fare il premier a Roma nel 2014, poi tutti dissero che lo aveva designato a sindaco e Nardella vinse al primo turno le comunali del 2014 con quasi il 60% dei voti… Eppure proprio quella vittoria al primo turno, che non era riuscita a Renzi, a ben guardare conteneva i germi della futura divisione. «Mi auguro che nessuno parli più di Nardella catapultato…», disse Dario dopo essere diventato sindaco e dopo aver ricevuto i complimenti dell’allora primo ministro. Nardella insomma aspirava già a far vedere la propria autonomia, anche se il rapporto con Renzi era forte, anche se festeggiò, come Renzi, in piazza Santissima Annunziata la sua elezione a sindaco.
Ma erano altri tempi, quelli del Renzi trionfante nel Pd e nel Paese, Dario sembrava paradossalmente più giovane del coetaneo Matteo e la partaccia che Nardella beccò nel 2012 da Renzi, davanti ai giornalisti, perché era arrivato in piazza Signoria con l’auto di servizio, quando Renzi si muoveva in bicicletta, era poco più di un aneddoto divertente.
Nei palazzi nessuno si ricorda un episodio preciso della rottura, un diverbio per esempio, uno scontro nelle sedi di partito, nel 2016 i due andavano ancora d’amore e d’accordo: Renzi premier in Palazzo Vecchio tenne un summit di tre ore con Nardella sindaco (c’era anche Luca Lotti, allora fedelissimo di Matteo e sottosegretario) sulle infrastrutture, dall’aeroporto all’Alta velocità ferroviaria. Il primo scontro arrivò l’anno successivo del tutto inaspettato, forse anche per questo fece più rumore. Era aprile e Nardella propose di usare una parte dell’area dell’ex caserma dei Lupi di Toscana, che il Demanio aveva ceduto al Comune di Firenze, per costruire la moschea per i 30 mila fedeli musulmani fiorentini. Il giorno dopo arrivò lo stop di Matteo, morbido nei toni, secco nel contenuto: «Il governo ha consegnato la caserma a Firenze, ma non per farci la moschea. Dario è un sindaco molto bravo, ricco di intelligenza e fantasia: sono certo che troverà un’altra soluzione più convincente». Con il secondo mandato di Nardella e la fondazione di Italia viva le distanze sono aumentate, con continue stilettate di Matteo «all’amico Dario» e l’amico Dario a evitare di rispondere.
Caratteri diversi, certo, carriere divergenti, ma non troppo — Nardella ha anche puntato alla segreteria nazionale del Pd, come fece Renzi— ma nessuno si immaginava la conferenza stampa contro il multificio del Comune di Firenze fatta da Renzi in piazza della Signoria, con vista su Palazzo Vecchio, più di un anno fa, o le sciabolate del senatore sullo stadio Franchi restaurato coi soldi pubblici. C’eravamo tanto amati, insomma. Anche se Iv è sempre in maggioranza e chissà se davvero Saccardi correrà contro l’erede di Nardella, Sara Funaro.