Dopo altre lunghe ore di minuetto di Lega e (soprattutto) Fdi per troncare e sopire l’idea che l’autonomia arricchirà il nord e danneggerà il sud, la battuta rivelatrice arriva intorno alle 15 nell’aula del Senato, quando si vota la proposta delle opposizioni di rispedire il testo in commissione. Il senatore veneto del Pd Andrea Martella non riesce a spingere in tempo il tasto verde e il leghista Massimiliano Romeo gli urla: «Martella, sei veneto, va bene cosìììì».

APPLAUSI DEI LEGHISTI al lapsus freudiano che rivela l’obiettivo di sempre: prima il Nord. La proposta viene respinta (101 contro 61) e questa mattina inizia l’esame degli oltre 300 emendamenti. Le destre puntano a chiudere in giornata, il Pd e le altre minoranze vorrebbero mettere qualche bastone tra le ruote. In ogni caso il Senato dirà sì all’inizio della prossima settimana. Quelli di Fratelli d’Italia, ligi ai loro doveri di maggioranza quando c’è da votare, sono in sofferenza per l’offensiva delle opposizioni che gridano ad una legge «spacca-Italia». Ne è prova il fatto che il meloniano Alberto Balboni ha sentito il bisogno di riformulare l’emendamento che mercoledì aveva avuto l’ok al vertice di maggioranza. E lo ha fatto dopo che ieri mattina i dem hanno convocato una conferenza stampa in Senato, per dirsi pronti al referendum ma anche (con una regione a guida dem) a presentare un’eccezione davanti alla Corte costituzionale sulla legge Calderoli. «Siamo pronti a votare l’emendamento di Fdi se scriveranno che non sono possibili intese fra Stato e Regioni sull’autonomia finchè non ci saranno adeguate risorse sul fondo di perequazione», ha detto il capogruppo Francesco Boccia, assicurando che «nessuna delle regioni guidate dal Pd firmerà intese sull’autonomia».

NEL POMERIGGIO I MELONIANI provano a rispondere all’offensiva. E il testo dell’emendamento De Priamo (dal nome del senatore) cambia ancora: non c’è più solo la richiesta di assicurare le stesse risorse anche alle regioni che non chiederanno l’autonomia ma ciò dovrà avvenire «coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio». Una mossa che nasce anche da difficoltà di Bilancio: la commissione fatica a dare un parere positivo, visto che la proposta di Fdi aumenterebbe i costi (cosa sgradita al Mef). I dem comunque la giudicano irrilevante.

CALDEROLI, PADRE DELLA riforma, intervenendo alla fine della discussione generale, dice tra i «buuu» dei dem che «non c’è alcun baratto tra autonomia e premierato». E lo giustifica ricordando che il rafforzamenti dei poteri del premier (a scapito del Quirinale) era già previsto nella riforma costituzionale «devolution», che «ahimè mi è stata bocciata dal referendum». Un filo verde rivendicato che parte dalla riforma bossiana del 2005 passando per il federalismo fiscale del 2009 fino al testo di oggi. Poi il ministro se l’è presa coi dem che «hanno cambiato idea sull’autonomia» dopo il congresso in cui Schlein ha battuto Bonaccini, ricordando che nel 2018 il governatore emiliano siglò una pre-intesa col governo Gentiloni, insieme a Veneto e Lombardia. Calderoli ha ricordato anche che nel contratto di governo tra Lega e M5S del 2018 (primo governo Conte), l’autonomia era una «questione prioritaria». «O vi siete sbagliati allora o vi state sbagliando oggi», tuona il leghista.

Replica il capogruppo Patuanelli: «Se le sta tanto a cuore quel contratto, le ricordo che c’era dentro anche il reddito di cittadinanza…».. E aggiunge: «Allora si parlava di una autonomia corretta, e cioè solo dopo aver trovato le risorse per dare servizi migliori alle aree più svantaggiate. Con Boccia va in scena un duello verbale. Il dem dice che «noi nel 2020 abbiamo tolto dal tavolo la possibilità per le regioni più ricche di tenersi il residuo fiscale». E il ministro: «Io ho convinto i governatori Zaia e Fontana a rinunciare». E ancora: «Oggi gli italiani non sono di serie A e B, abbiamo anche la C e la promozione, e la colpa è dello stato centralista. Io non voglio incrementare i divari, con il prof. Cassese per la prima volta abbiamo stabilito i livelli essenziali delle prestazioni validi per tutta l’Italia». E i soldi dove stanno? «Ce ne sono tanti in giro, a partire da quelli europei. Il problema è spenderli bebe, non usarli per ottenere voti. Vogliamo o no far girare la manovella e mettere in moto anche il Mezzogiorno?». «Alla Camera la battaglia sarà ancora più dura», assicura la capogruppo Pd Chiara Braga. «Questa legge è una condanna a morte per il sud», accusa Piero De Luca, deputato e figlio del governatore campano. «La riforma Calderoli è contro il Sud, considerato solo come un peso di cui disfarsi», scandisce in aula il rossoverde Tino Magni. «Vi chiediamo di fermarvi».