Caso Delmastro, gli errori di Meloni e la difesa dei peggiori
17 Febbraio 2023Giorgio de Chirico La vita e l’opera
17 Febbraio 2023di Annalisa Cuzzocrea
Rassicuriamo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che ieri ha parlato per Giorgia Meloni. Nessuno qui pensa che l’indagine della procura di Roma su Andrea Delmastro per rivelazione di segreto d’ufficio equivalga a un processo o a “una condanna”. L’illecito è da dimostrare e circostanziare, come vuole la giustizia. Quella che non si nasconde dietro le fumisterie ministeriali e pretende di capire come sia possibile che conversazioni carpite da agenti penitenziari durante l’ora d’aria di Alfredo Cospito con altri due detenuti al 41 bis possano essere divulgate durante una seduta d’aula di Montecitorio da un esponente politico. Nonostante si trattasse di dialoghi contenuti in documenti che dovevano restare dentro il palazzo di via Arenula. Finora il ministro Nordio si è nascosto dietro la dicitura “limitata divulgazione”, continuando a dire che quegli atti non erano secretati, ben sapendo però che si tratta di informazioni che possono – una volta arrivate nelle mani di un giudice – dare il via a un’inchiesta, ed essere a quel punto sì sottoposte al segreto d’indagine. E sapendo inoltre – almeno speriamo – che il fatto che conversazioni di detenuti condannati al 41 bis, quindi a non comunicare con l’esterno, siano portate fuori da esponenti politici del governo appare contrario alla logica e alla ragione.
Sarà comunque il tribunale di Roma a capire se quel che ha fatto il sottosegretario alla Giustizia rivelando il contenuto di quelle conversazioni al vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli perché le scagliasse – un po’ a casaccio – contro l’opposizione, si possa o non possa fare. Delmastro sarà sentito dalla procura, che forse dovrà sentire anche Nordio in quanto a capo del ministero di cui il deputato di Fratelli d’Italia fa parte. Il tutto è, fatto salvo il garantismo di cui sopra, un gigantesco problema politico per la presidente del Consiglio e per la sua maggioranza. Non era tutto a posto, come ha fatto credere in aula tanto alla Camera quanto al Senato il Guardasigilli. Bisognerà indagare per essere certi che lo sia.
Davanti a questo, né Meloni né Donzelli né Delmastro possono fischiettare facendo finta di niente. Tanto più che l’avviso di garanzia non è dovuto a un presunto abuso edilizio, ragione per cui si arrivò a far dimettere la ministra dello Sport Josefa idem durante il governo Letta. Ma a qualcosa che Delmastro avrebbe fatto nell’esercizio delle sue funzioni di sottosegretario alla Giustizia. Abusando della possibilità di chiamare il Dap e richiedere gli ascolti proprio di quel 12 gennaio in cui a trovare in carcere Cospito, per sincerarsi del suo stato di salute, erano andati quattro deputati Pd. La domanda è quindi molto semplice e va rivolta alla premier e al suo Guardasigilli: può il governo del Paese fidarsi di un servitore dello Stato accusato di aver usato documenti riservati (non secretati, va bene, ma riservati) per concederli come arma dialettica a un compagno di partito per colpire l’opposizione? È un sospetto che uno Stato di diritto può accettare? O bisognerebbe chiedere a quel sottosegretario di farsi da parte almeno finché tutto non sarà chiarito? E a chi con lui ha contribuito alla rivelazione, Giovanni Donzelli, di abbandonare la carica di vicepresidente del Copasir? Una destra davvero “legge e ordine” non avrebbe dubbi sulla risposta. Questa, invece, che ieri ha subito accusato la procura di Roma della fuga di notizie sull’indagine – comunicata a Delmastro già mercoledì – che destra è?