Il retroscena
ROMA — È toccato a Stefano Candiani, per un giorno frontman della Lega alla Camera, lanciare l’allarme a metà mattinata con una telefonata a Salvini: «Matteo, qui non ci sono ministri, dobbiamo rimediare». Giorgia Meloni si era già seduta nello scranno più alto del governo e attorno a sé, come nel giorno precedente, non aveva trovato alcun leghista. E non l’aveva presa affatto bene, trasmettendo la sua irritazione ai fedelissimi che a loro volta avevano lanciato un tam tam nella maggioranza. Di lì a poco sarebbero arrivati di gran corsa Giuseppe Valditara e, solo più tardi, Roberto Calderoli e Alessandra Locatelli. Pericolo scampato, almeno in parte. «I nostri ministri avranno altri impegni, non saranno a casa a girarsi i pollici», commentava intanto con qualche imbarazzo Riccardo Molinari, il capogruppo del Carroccio a Montecitorio. Ma quel che è certo, al termine di una nuova giornata di lavori parlamentari, è che la premier vola a Bruxelles con un macigno sulle spalle ben più pesante del sasso dell’Adige esposto in Aula dal verde Angelo Bonelli: l’insoddisfazione della Lega, manifestata con lo stop alle armi intimato da Massimiliano Romeo martedì al Senato e con una visibile indolenza nella partecipazione ai lavori della due giorni in vista del Consiglio europeo. Matteo Salvini, per inciso, in 48 ore non si è mai visto, preferendo postare notizie e foto di sé stesso al lavoro su svariati dossier: ieri è stata la volta di una riunione sulla sicurezza stradale. In realtà, dietro la distanza leghista sui temi di politica internazionale, ci sono le frizioni sulle nomine ai vertici delle partecipate di Stato che hanno determinato uno situazione di stallo. E su cui puntano il dito le opposizioni: «Meloni è stata molto nervosa in aula: un sovrappiù di stizza che – dice l’ex ministro pd Andrea Orlando aMetropolis – non escludo sia legato a questioni interne alla maggioranza sulle nomine».
Dopo la riunione di martedì fra i leader (Meloni, Tajani, Salvini, Giorgetti), la scelta è stata quella di aggiornarsi alla settimana prossima. In sostanza, un passaggio interlocutorio, e nessuna decisione presa. La Lega vorrebbe la guida di almeno uno dei quattro maggiori enti: Eni, Enel, Terna, Leonardo. Ma la trattativa è difficile: Meloni non mette neppure in discussione la riconferma di Claudio Descalzi alla guida dell’Eni, mentre pensa a uno spostamento diStefano Donnarumma da Terna all’Enel, ipotesi poco gradita a Salvini. Intanto, da Consob si è dimesso il consigliere Paolo Ciocca che potrebbe ricoprire il ruolo di direttore del nuovo ufficio sulle partecipate sotto l’ombrello del Mef.
Le tensioni, in questi giorni, hanno riguardato anche la scelta del nuovo supercommissario per l’emergenza siccità: la Lega si è prima opposta alla creazione di una figura unica, poi ha accettato la proposta di FdI solo in cambio della facoltà di indicarne il nome. Francesco Lollobrigida, capodelegazione di Fratelli d’Italia, ha delineato competenze e durata del commissario e ha invitato proprio Salvini a prendere l’incarico. Il segretario della Lega, che si sarebbe accontentato di proporre un politico (Gava, Morelli) o un tecnico a lui vicini, cerca di capire se è una trappola. Intanto non si tira indietro: «Io commissario? Se serve lo faccio », dice il ministro delle Infrastrutture nel corso della trasmissione «Cinque minuti» di Bruno Vespa.
Ma la Lega si mette di traverso anche per una questione di metodo: negli ambienti parlamentari circola la convinzione che, alla fine, non sarà attorno al tavolo di maggioranzache si decideranno davvero le nomine. E che Meloni, ancora una volta, dopo aver sentito gli alleati, dopo aver messo diligentemente nel taccuino i desiderata dei compagni di viaggio, deciderà per conto suo. Con la “consulenza” dei suoi più fidati collaboratori, il sottosegretario all’Attuazione del programma Giovanbattista Fazzolari e soprattutto Alfredo Mantovano, da tempo nel mirino della Lega. Almeno dai giorni concitati precedenti alla trasferta del Cdm a Cutro, quando fu ritenuto responsabile del tentativo di affidare alla Marina militare parte delle competenze sulla sorveglianza migranti oggi in capo a Salvini. Il quale, per pesare di più sulle scelte, continua a punzecchiare Meloni brandendo la richiesta di discontinuità. Pare che la premier potrebbe presentarsi al prossimo vertice sulle nomine, martedì prossimo, con un pacchetto di proposte e con un altro diktat: l’indicazione di una donna alla guida di una grande spa pubblica. Le ipotesi sul tavolo sono quelle di Elisabetta Belloni (per Leonardo o per la presidenza di Montepaschi) e di Roberta Neri, nome che viene accostato ad Enav. Nel frattempo prosegue la guerriglia sotterranea. La cui eco si è sentita forte, dalle parti del Parlamento.