La sorpresa generata dal mancato perfezionamento degli accordi sui “top jobs” nelle istituzioni europee forse è stata un po’ eccessiva. In fondo si è all’inizio di una trattativa delicata, e le premesse non sono affatto negative. Se anche nel prossimo vertice si dovesse decidere per un nuovo rinvio, data la prossimità, a quel punto, delle elezioni francesi, non ci sarebbe da fasciarsi la testa. Anche se certo le cose si complicherebbero se dal voto il peso di Le Pen nel suo Paese dovesse uscire rafforzato. Al momento, va registrata la volontà degli esponenti della maggioranza formata da Ppe, Socialdemocratici e Liberali di procedere con le proprie forze, aprendo semmai ai Verdi, e rifiutando eventuali aiuti esterni di parte delle destre, non solo quelle estreme, e dunque qualsiasi interlocuzione anche con Meloni, leader dell’unico governo premiato alle europee.
Qui il discorso si sposta sulle mosse future della premier italiana. Che non sarebbe stata una passeggiata, per lei, entrare nel gioco delle scelte dei vertici istituzionali a Bruxelles, era chiaro. Per ciò che ha detto in campagna elettorale: non voterò mai insieme ai socialisti. E per la consueta pressione che Salvini, coadiuvato da Le Pen, esercita sul di lei fianco destro. Ma allo stesso tempo si intuiva che Meloni fosse alla ricerca di una strada attraverso la quale inserirsi nella trattativa, per non ritrovarsi nella scontata opposizione già scelta dall’alleato/avversario leghista, e non sprecare il lavoro di accreditamento sul terreno europeo fatto nella precedente legislatura, anche grazie all’amicizia costruita con Von der Leyen, la presidente uscente della Commissione candidata a succedere a se stessa. VdL tra l’altro è la prima a sapere che una votazione sul suo nome basata sui soli voti della maggioranza, benché solida sulla carta, è esposta al rischio dei franchi tiratori, che avevano già funestato la sua designazione. Volentieri quindi avrebbe accolto l’appoggio dell’amica Giorgia, ora risospinta indietro, soprattutto dal cancelliere Scholz. In conclusione: Meloni era arrivata a Bruxelles, come vincitrice delle elezioni, sentendosi al centro delle attenzioni. Invece s’è ritrovata emarginata. Per adesso: perché il termine per gli accordi resta aperto fino a un minuto prima del voto.