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Alle adolescenti è vietato studiare, così l’unica alternativa all’isolamento sono le scuole religiose. Hakima: «Mia figlia era depressa, sempre chiusa in casa. Così almeno vede le compagne. Ma questa non è istruzione»
Direttrice di Rukhshana Media, Londra
Mahdia aveva 14 anni quando, nel 2021, i taleban sono tornati al potere. Frequentava la sesta classe, l’ultimo anno della scuola primaria pubblica. Quell’agosto, non immaginava che la sua vita sarebbe cambiata drasticamente. Tra le prime azioni della nuova dittatura è arrivato il divieto di istruzione secondaria per tutte le ragazze.
Le lacrime di Mahdia e Hakima
Per le adolescenti che vivono oggi nell’Emirato islamico dell’Afghanistan non restano che le madrase. Non ci sono alternative : prendere o lasciare. Mahdia è andata a scuola solo per altri quattro mesi. L’anno successivo nulla. Lontana dai banchi, costretta a rimanere tutto il giorno a casa, è scivolata in una devastante depressione. La madre Hakima, 37 anni, ricorda ancora il dolore di quei giorni: «Vedevo mia figlia rimanere seduta in un angolo della sua stanza a piangere tutto il giorno. I taleban avevano vietato a donne e ragazze anche di uscire di casa da sole. Non avevamo nessun posto dove andare. A un certo punto si è ammalata e l’abbiamo dovuta portare in ospedale. È stato il medico, lì, a dirci che soffriva di un forte stato depressivo e che il rischio di degenerare in una grave malattia mentale era alto. Ero terrorizzata e, pensando che avrei potuto perderla, ho pianto».
Hakima ha così cominciato a cercare un modo per aiutare la figlia a uscire dal buio. «Ho parlato con alcune donne del quartiere e mi hanno suggerito – ricorda – di mandarla alla madrasa affinché potesse, almeno, rivedere le sue amiche di scuola, tenere la mente occupata e sentirsi meglio». Così è stato. Nonostante le tante perplessità, Mahdia è stata iscritta alla scuola religiosa. Come lei hanno fatto tante altre ragazze pur consapevoli che non avrebbero studiato né matematica né letteratura ma che si sarebbero dovute dedicare all’apprendimento mnemonico del Corano. Niente di paragonabile alla scuola vera. «Le materie tradizionali sono più utili ed essenziali di quelle impartite in una madrasa – insiste -. Scienza e tecnologia, per esempio, hanno un impatto più positivo sulla vita e sullo stato mentale di una persona». Tuttavia, ammette amaramente, «noi non avevamo alternative ». Chi, in famiglia, non era particolarmente d’accordo con questa decisione è stata Farrokh-Liqa, la nonna 51enne. «Non ho mai mandato i miei figli alle scuole religiose – racconta – perché non sono luoghi di istruzione moderna». Mahdia stessa non è interessata all’istruzione religiosa. Per lei, andare in una madrasa è eseguire i consigli del medico e della sua famiglia, l’occasione per trascorre qualche ora fuori casa ogni giorno e visitare una moschea nei pressi della propria abitazione. «Le lezioni sono ripetitive – ammette – sempre le stesse di generazione in generazione». La giovane
continua a sognare una scuola vera: «Mi piace la tecnologia e vorrei tanto studiare informatica – confida – ma finché i taleban saranno al potere so che sarà impossibile». Da quando le è stato vietato di andare a scuola, Mahdia è rimasta in contatto solo con una delle sue ex compagne: Razia. «Non era solo un’amica di classe – precisa – ma anche la persona a me più cara. Lei, che come me non può più studiare, ora trascorre il tempo tessendo tappeti con i suoi fratelli. La maggior parte delle altre è caduta in depressione».
La grande rete delle scuole coraniche
Sotto il dominio dei taleban, le istituzioni educative del Paese hanno subito cambiamenti significativi, con un maggiore supporto ed espansione delle scuole religiose, gestite dal ministero degli Affari Religiosi, a scapito di quelle tradizionali. Attualmente, in Afghanistan, il numero delle madrase supera quello degli istituti di istruzione pubblici e privati. Secondo il ministero dell’Istruzione, questi ultimi sono circa 18mila; quelli religiosi superano quota 21.257 con oltre tre milioni di giovani iscritti. All’inizio dell’anno scolastico 1401 del calendario afghano (marzo 2022 in Occidente) il leader dei taleban, Hibatullah Akhundzada, ha emesso un decreto per la creazione di “scuole jihadiste” incoraggiandone l’istituzione in ciascuna provincia, con una capacità di accogliere fino a 1.000 studenti. Tre mesi dopo, la prima di questo tipo è stata inaugurata nell’area di “Pul-e-Charkhi”, a est di Kabul. Le autorità l’hanno definita la più grande del Paese. Entro la fine dell’anno, i funzionari taleban hanno annunciato che una scuola jihadista centrale era stata istituita in tutte le 34 province dell’Afghanistan.
Il governo islamico non si è opposto all’istruzione laica in senso assoluto. I ragazzi possono ancora andare a scuola ma non le giovani che devono concludere il ciclo di studi al sesto (e ultimo) livello della formazione primaria, tra 12 e 14 anni. L’Afghanistan è ora l’unico Paese al mondo in cui le bambine sono private del fondamentale diritto allo studio. A loro sono precluse le classi secondarie e l’università. Per tutta risposta, il ministero dell’Istruzione ribadisce che non ci sono «restrizioni di età» per l’educazione femminile nelle scuole religiose. Le donne, questo racconta la cronaca che arriva da alcune comunità, come quella di Bamiyan, vengono invitate alle cerimonie di inaugurazione delle nuove madrase, o alla deposizione della prima pietra di quelle che verranno costruite, solo per propaganda. A loro, in genere, è proibito uscire dalle aule.
Quaderno e penna per Sharifa
Sharifa, 13 anni, attualmente frequenta la sesta classe e, durante le vacanze invernali, per quattro ore al giorno segue anche le lezioni di una madrasa a Kabul. «Gli studi religiosi sono utili, imparo molte cose ma – precisa – ma sono preoccupata perché alla fine di quest’anno non potrò più proseguire il mio percorso di istruzione. Spero che il regime talebano cada». Fatima, la madre 51enne, dice che può permettersi di mandare a scuola solo una delle sue figlie femmine. « Mio figlio ha studiato fino alla nona classe ma – confessa – non avevamo la disponibilità economica per poterlo aiutare a proseguire». La donna spiega che andava a scuola anche un altro dei suoi maschietti ma quattro anni fa, ricorda, «al suo istituto c’è stato un attentato suicida, si è molto spaventato e non è mai più tornato in classe». « Mio marito lavora alla giornata ma – conclude – non in maniera continuativa perché a volte non trova nessuno che lo ingaggi. La sua paga, quando ce l’ha, è di 60 afghani al giorno. All’inizio dell’anno scolastico sono riuscita a comprare per Sharifa un quaderno e una penna per 50 afghani».
Ha collaborato Haniya Frotan Traduzione dall’inglese di Angela Napoletano