A ciascuno il suo. Se Cosa Nostra aveva Marcello Dell’Utri in Sicilia e la camorra aveva Nicola Cosentino in Campania, da ieri la ’ndrangheta in Calabria ha Giancarlo Pittelli. Seppure con una sentenza solo di primo grado, l’ex senatore di Forza Italia è stato condannato a 11 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è il solo del maxi processo “Rinascita Scott”. Tra i condannati “eccellenti” figurano anche l’ex agente della Dia poi passato ai servizi segreti, Michele Marinaro (10 anni e 6 mesi), e l’ex capitano dei carabinieri, Giorgio Naselli (2 anni e 6 mesi). A boss della ’ndrangheta del calibro di Saverio Razionale, Pasquale e Domenico Bonavota, invece, sono state inflitte condanne fino a 30 anni. E non mancano imprenditori, politici, professionisti e colletti bianchi, a disposizione della cosca Mancuso e degli altri clan, ai quali sono state inflitte pene tra i 18 e i 21 anni. In tutto, dopo oltre un mese di camera di consiglio, le condanne decise dal Tribunale di Vibo Valentia sono più di 200 (su 338 imputati) e oltre 2.200 anni gli anni di carcere.L’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri (oggi alla guida della Procura di Napoli) non era in aula, ma sotto l’inchiesta che ha messo in ginocchio la ’ndrangheta di Vibo portando alla sbarra non solo l’ala militare, ma anche gli addentellati dei clan all’interno delle istituzioni, c’è la sua firma. Il dispositivo della sentenza ha messo a fuoco il cuore del rapporto tra ’ndrangheta, politica e massoneria. Un centinaio tra assoluzioni (anche per prescrizione) e proscioglimenti (anche per difetto di querela) non inficiano l’impianto accusatorio che ha dimostrato di essere solido a 4 anni dal blitz dei carabinieri. Per il procuratore Vincenzo Capomolla, la pervasività della ’ndrangheta nel Vibonese “era così radicata che non c’era nessun aspetto della vita, del tessuto economico e sociale che non fosse condizionato”.Il maxi processo, infatti, ha messo a nudo quello che, in Calabria, è il vero “partito di maggioranza” nelle cui file ci sono imprenditori, politici, sindaci, carabinieri e pure uomini dei servizi segreti come Michele Marinaro. Secondo i pm, era in contatto con l’ex senatore Pittelli, l’imputato che più ha catalizzato l’attenzione mediatica, da cui però è uscito assolto l’ex sindaco di Pizzo, un tempo renziano, Gianluca Callipo. Per lui, i pm avevano chiesto 18 anni per concorso esterno. È stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa anche Pietro Giamborino, ex consigliere regionale, per il quale erano stati chiesti 20 anni, è stato però condannato a un anno e mezzo solo per traffico di influenze.
Ha retto in pieno, invece, il concorso esterno contestato a Pittelli che i suoi legali paragonano, a “Enzo Tortora”. Per gli avvocati Giandomenico Caiazza, Salvatore Staiano e Guido Contestabile, infatti, questa condanna è stata “indispensabile per salvare la credibilità della intera operazione investigativa Rinascita-Scott”. Dagli atti dell’inchiesta, però, sulla posizione di Pittelli hanno pesato i rapporti con il boss Luigi Mancuso, detto il “Supremo”. Ma anche “lo zio” che aveva contatti con Pittelli. Un legame che, secondo la Dda, andava oltre quello lecito tra avvocato e cliente.
In attesa delle motivazioni, il profilo di Pittelli tracciato nelle carte dal procuratore Gratteri e dai suoi pm è il più fedele agli 11 anni di carcere decisi dal Tribunale: in sostanza Pittelli era l’“affarista massone dei boss della ’ndrangheta calabrese”, “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. Tra entrature politiche, conoscenze massoniche e amicizie con magistrati in grado di “mettere mano ai processi”, negli anni d’oro apriva tutte le porte Giancarlo Pittelli. Avvocato di grido in Calabria, nel 2001 è eletto deputato e membro della commissione Giustizia della Camera. L’inchiesta “Why Not” di Luigi de Magistris, in cui fu coinvolto, non gli impedisce di diventare uno dei consiglieri più ascoltati da Berlusconi in materia di riforma della Giustizia. Nel 2006 il salto al Senato prima di litigare nel 2011 con il leader di FI che non lo candida più. Tornato a fare l’avvocato, la politica lo ha continuato a corteggiare e nel 2017 per lui si spalancano le porte di Fratelli d’Italia. “Un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia” lo aveva definito su Twitter Giorgia Meloni due anni prima che lo arrestassero in “Rinascita-Scott” dalle cui intercettazioni è emerso che brigava per farsi nominare addirittura membro laico del Csm. Se ci fosse riuscito, avrebbe detto la sua sulle nomine e sulle carriere dei magistrati. Anche di quelli che stavano indagando su di lui e che, ieri, sono riusciti a farlo condannare.