ROMA — Mazzette e iPhone in cambio di appalti. Incarichi farlocchi per pagare le rate della Bmw e le spese mediche del cane. Un’inchiesta su un giro sospetto di mascherine si è trasformata in un’indagine per corruzione e traffico di influenze che scuote la Capitale con gli arresti domiciliari a un avvocato romano, due imprenditori e un ex dirigente pubblico, Gabriele Visco.
Da una parte c’è lui, Visco, manager di Invitalia fino ad aprile 2023 e figlio dell’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco: «Sfruttando e vantando le relazioni esistenti all’interno di Invitalia Spa si faceva indebitamente dare regali e accettava la promessa di maggiori e più concrete utilità — come prezzo della propria mediazione e anche per remunerare i dirigenti e funzionari interni alla società», dicono i pm di Roma. Dall’altra ci sono i costruttori che ricevevano appalti in cambio di promesse o mazzette: Claudio Favellato, imprenditore con particolare attenzione alle opere pubbliche, e l’ex missino Pierluigi Fioretti, consigliere comunale capitolino tra le fila di An negli anni 90 e ora amministratore del Consorzio costruttori italiani srl.
Tra Visco e gli amici imprenditori ci sono i soldi pubblici, tanti. Come i 4.328.219 euro che le aziende di Favellato si sono aggiudicate nonostante fossero arrivate terze in graduatoria. E non si trattava di appalti come tanti: riguardavano i lavori idrogeologici in un Paese come l’Italia, già ferito da frane e alluvioni. Ma per Visco quel settore era la sua «sfera di influenza», «tutto quello che esce sul dissesto idrogeologico — diceva — quella roba lì è possibile». E così l’appalto per la «Diga del Ponte Chiauci sul fiume Trigno» è finito in mano all’amico Favellato. In cambio gli imprenditori pagavano: soldi e telefoni (un iPhone 14 da 1.350 euro). Visco diceva sarebbero serviti a ungere qualche commissario, e invece i cellulari finivano in mano alla moglie. L’ex manager, ora ai domiciliari, agiva su due fronti. Oltre a promettere utilità, chiedeva un supporto per avanzare di carriera. E gli amici promettevano di impegnarsi per lui, di contattare ministri, sottosegretari o ambienti ecclesiastici.
Le intercettazioni captate dalla finanza mal si addicono a manager e altolocati imprenditori. Ricordano più le conversazioni tra narcos, quelli che devono acquistare «telefoni dedicati a conversazioni riservate», quelli che dicono, come faceva Visco, di trovare “un operaio sconosciuto, fatte da una sim… ma mica devi dare nome e cognome, la intesti a un altro».
A margine dell’indagine emerge anche la storia che riguarda l’avvocato Luca Leone, a cui Visco aveva affidato una consulenza da 230 mila euro presso Invitalia. «È uno che garantisce delle relazioni… per quello stava là, poi in realtà eh eh faceva poco e nulla», spiega lo stesso Visco, a cui Leone girava parte delle sue parcelle (almeno 27 mila euro) su una carta di credito tedesca intestata all’avvocato, usata da Visco, e protetta da una password particolare: “Loulu”. Il cane di Visco,a guardia del fortino.